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Marco Balestri: "Ho preso in giro tutti i Vip ma lo scherzo peggiore me l’ha fatto la depressione"

di Alessandro Dell'Ortodomenica 5 ottobre 2025
Marco Balestri: "Ho preso in giro tutti i Vip ma lo scherzo peggiore me l’ha fatto la depressione"

10' di lettura

Marco Balestri ce lo ricordiamo soprattutto per la trasmissione cult “Scherzi a parte”, ma in realtà era la mente geniale che ha confezionato - come autore e, in certi casi, pure come ideatore e conduttore - tutti i più belli e storici programmi di Mediaset degli Anni ’80 e ‘90, da “M’ama non m’ama” a “W le donne”, da “Per la strada” a “La verità” fino a “Il brutto anatroccolo”, tanto per citarne qualcuno. Ironico, sensibile, brillante, Marco ora ha 72 anni (portati alla grande) e continua a produrre idee e scrivere format, anche se con la tv ha un rapporto conflittuale: «Ormai mi chiamano solo per fare l’opinionista o per i reality, c’è molta ipocrisia nel mondo dello spettacolo».
 

Marco Balestri, lui chi è?
«Blanco, un Golden retriever di 7 anni. Ce l’ho da quando aveva due mesi ed è convinto che io sia il migliore, quindi la pensa come me».

Buona questa. Non la molla un attimo, in effetti.
«Siamo sempre insieme e abbiamo appena fatto due mesi di vacanza in Sardegna».

Come è stato il ritorno a Milano?
«Difficile. Questa città non la riconosco più, è caotica, terribile. Per fortuna vivo nell’hinterland ed è una specie di oasi felice. Il posto ideale per Blanco, che ha un giardino a disposizione, e per me, che posso pensare nella tranquillità».

Lavora ancora?
«Scrivo e ho tante idee nel cassetto. Io sono sempre stato avanti, sa cosa mi ha detto una volta il produttore americano Steve Carlin?».

No.
«“You’r a genius”, sei un genio. E mi ha proposto di andare a lavorare là, spiegandomi che avrei guadagnato così tanto da andare subito a vivere a Beverly Hills».

Non ha accettato?
«No, non ho mai inseguito il denaro».

Torniamo al presente.L’idea più forte che ha nel cassetto?
«Un programma sull’ipocondria: un paziente che va da un dottore e lo mette di fronte alle proprie teorie prese da internet, social, giornali. Gli ipocondriaci non si fidano della medicina e a volte ne sanno più degli specialisti».

Qualcuno la attaccherebbe: mettere in dubbio la scienza è pericoloso...
«Mi sono già saltati addosso dicendo che, con certe cose, non si scherza. Eppure, quando facevo “Il brutto anatroccolo” (programma in cui persone comuni chiedevano aiuto alla trasmissione per modificare il proprio aspetto ndr), non c’erano tutti questi problemi, erano gli anni dei Cinepanettoni. Anzi, i mariti mi fermavano chiedendo consigli su come migliorare le mogli. E a me, più di una volta, hanno offerto ritocchi e modifiche del mio aspetto fisico».

A proposito, lei è stato anche tra i primi a provare il Viagra, vero?
«Per curiosità ed è stata una pessima esperienza. Non ho combinato nulla perché sono stato malissimo: tachicardia, mal di testa, ansia. Ero tutto rigido tranne che lì».

Altre strane esperienze con la medicina?
«Volevano farmi fare una blefaroplastica, un intervento chirurgico che rimuove l’eccesso di pelle e le borse di grasso dalle palpebre. Un giorno mi ha chiamato un capo struttura: “In video tieni gli occhi socchiusi, non va bene. Dovresti farti operare”. Ho rifiutato. Alcuni miei colleghi, invece, l’hanno fatto, anche degli insospettabili».

Marco, perché non va più molto d’accordo con la tv?
«Una volta un autore faceva di testa sua prendendosi la responsabilità del proprio programma mentre ora, quando proponi qualcosa, ci sono mille interferenze e dall’alto vogliono cambiare tutto. E poi accettano solo il politicamente corretto, mentre io sono sempre stato scorretto».

Come mai quel sorriso?
«Mi viene da ridere: alcuni dirigenti televisivi di adesso sono gli stessi che, anni fa, volevano fare gli attori e io avevo bocciato ai provini...».

Ah ecco. Ma la televisione la guarda?
«Certo. Il problema è che le trasmissioni sono tutte omologate e nessuno si prende più rischi. Io sono cresciuto con l’indice di gradimento, ora si pensa solo agli ascolti e non c’è qualità. Seguo le partite dell’Inter, i tg, tante serie tv e “4 ristoranti” perché mi diletto a cucinare».

Lavorare davanti alle telecamere le manca?
«Sì, ma ormai mi propongono solo ruoli da opinionista o reality. Giorgio Gori, tanti anni fa, mi chiese di andare a “L’Isola dei famosi”. Gli risposi che, avendoci messo una vita per potermi permettere di mangiare a pranzo e cena, non avevo alcuna intenzione di tornare a fare la fame».

Andiamoci insieme, ai tempi “difficili” del piccolo Marco Balestri.
«Nasco a Perugia l’8 novembre 1953. Papà Francesco si arrangia con lavori vari ed emigra subito a Londra, mamma Milena, che mi partorisce a soli 18 anni, fa la casalinga».

Che bambino è?
«Solitario, taciturno e molto timido».

Scuole?
«La prima elementare la frequento a Londra perché raggiungiamo mio padre, che vedo per la prima volta quando ho 3 anni. Non è facile ambientarsi, per tutti sono “l’italiano” e mi trattano male».

Viene bullizzato?
«Sono gracile e ho i capelli lunghi: i compagni spesso mi prendono a cazzotti. Ma in quegli anni è normale».
Poi torna in Italia.
«Prima a Roma e poi a Milano, in periferia. Stiamo tra Niguarda e la Comasina, il quartiere di Vallanzasca, posto difficile e pericoloso. E a 12 anni faccio la prima esperienza in tv».

Precoce.
«Con un compagno delle medie improvvisiamo interviste con un registratorino e, mentre stiamo parlando con un benzinaio, ci vede un giornalista de “Il Giorno”, che ci dedica un articolo. Poi ci chiamano alla Rai e nel quartiere, per tutti, da quel momento divento “Quello della tv”».

Primo lavoro?
«A 20 anni me ne vado a vivere da solo. Anzi, è papà a mandarmi via dicendo: “Fuori dalle balle, ora arrangiati”. Io studio filosofia e mi mantengo facendo il magazziniere e le consegne di dentifrici, con un furgone sul cui retro c’è un enorme tubo di dentifricio».

Perché ride?
«Una volta in Toscana, passando sotto un ponte particolarmente basso, il tubo si stacca e finisce in mezzo alla strada. Un casino».

Dopo la laurea?
«Insegno per due anni, come supplente, al Liceo Beccaria».

Quando si avvicina veramente al mondo dello spettacolo?
«Un giorno, nel 1974, vedo un manifesto in cui si annuncia che cercano voci nuove per la radio, faccio un esame e mi prendono: partecipo a “Chiamata generale”, una specie di “Chi l’ha visto?”, e la domenica pomeriggio a “Domenica con noi“, dove passo la linea ad Ameri per le partite di calcio».

Poi, però, diventa autore.
«Scopro che scrivendo i programmi si guadagna di più, lavoro con Paolo Limiti e Umberto Simonetta e la mia vita cambia: lascio la Rai e passo a Rete 4, che in quel momento è della Mondadori e poi verrà presa da Berlusconi».

Primo incontro con il Cav?
«Mi spiega la tv per la sua Milano 2 e gli chiedo: “Dottore, ma chi la vede?”. Lui risponde: “Per ora i condomini, tra un po’ tutti gli italiani: prenderò gli artisti più grandi”. E io, un po’ da stronzo: “Questo è un citofono, non una televisione”».
 

Ops.
«Anni dopo, ad una premiazione dei Telegatti, ci rivediamo e mi viene incontro: “Ha visto dove è arrivato il citofono?”. Aveva ragione lui, aveva una visione avanti del tempo.
E sapeva conquistarti, affascinarti».

Lei diventa subito autore di programmi di successo, iniziando con “M’ama non m’ama” (1983), per poi seguire con “W le donne” (1984) e “Il gioco delle coppie” (1985). Sempre nel 1985, però, la mandano in Francia.
«Parlo bene il francese e Carlo Freccero mi chiede di andare a Parigi per portare i nostri format su La Cinq».

Bella esperienza?
«Faticosissima: tutti mi chiamano “spaghetti” e mi sembra di tornare ai tempi del bullismo a scuola».

Dopo due anni torna in Italia ed è l’autore di tutti i programmi più importanti Mediaset.
«È Fatma Ruffini a chiedermi di seguirli e preparare i “numeri zero”».

Nel 1989, però, passa per la prima volta anche alla conduzione.
«Registro una puntata pilota di “Per la strada” e la mostro a Berlusconi, pensando che poi la facciano fare a Gerry Scotti. Quando il Cav la vede, però, è netto: “Buona idea, ma in video ci va lei o lasciamo perdere».

Ed è un successo.
«È il primo programma Fininvest in mezzo alla gente, un quiz itinerante a premi antesignano del “Karaoke” di Fiorello».

Nel 1990 lavora come inviato speciale di “Telemike” con Mike Bongiorno. Marco, ha una strana smorfia.
«Mi mandano nella Bassa California per documentare l’accoppiamento delle balene.All’arrivo vedo alcuni colleghi della BBC che stanno già tornando soddisfatti: “Noi abbiamo finito”. Capito? Sbaglio periodo. Disperato, torno in aeroporto a Los Angeles e mi accorgo che “National Geographic” vende delle cassette proprio sull’accoppiamento delle balene.
Le compro e poi, in Italia, le monto incastrandole con i commenti di Dan Peterson».

E Mike?
«Quando presenta il servizio è orgoglioso: “Ehhhh, guardate cosa ha ripreso il nostro inviato”. Mai confessata la verità...».

Nel 1992, invece, nasce “Scherzi a parte”.
«Inizialmente Berlusconi è perplesso, crede che prendere di mira i Vip non funzioni, che i beniamini del pubblico non andrebbero mai toccati. Fatma Ruffini, però, si impunta, così io preparo uno spot con alcuni incappucciati, tipo i fratelli della P2, che si chiedono; “A chi facciamo lo scherzo?”. Uno risponde: “Berlusconi”, io gli do uno schiaffo in testa e a quello gli vola via il cappuccio. Alla fine il Cav capisce e, divertito, ci lascia fare: diventa un grande successo e arriviamo a più di 10 milioni di ascolti».

Lei è la mente della maggior parte degli scherzi, alcuni dei quali sono nella storia. Altri, però, oggi non si potrebbero mandare in onda.
«Come quello a Carol Alt, in cui le facevamo un provino insieme con una donna molto brutta, che poi confrontavo con l’aspetto fisico perfetto di Carol. Ora scoppierebbe un caos».

Marco, un po’ di curiosità. Il Vip più terrorizzato?
«Leo Gullotta. Lo scherzo della tigre nasce da una mancanza di idee, un mio vuoto creativo. Mi dicono: “Guarda che stasera a casa di Pamela Prati va a cena Leo Gullotta”.
Io sto a Roma, in quel periodo, e sul giornale leggo “vista una pantera all’Olgiata”. Allora, sfinito, chiamo la produzione a Milano per convincerli a non fare nulla e dico: “Se volete proprio fare uno scherzo mi dovete trovare una pantera”. Mi richiamano poco dopo: “Non abbiamo trovato una pantera, ma a Bologna c’è una tigre che è buona, te la mandiamo”».
 

E finisce malissimo.
«Uno degli scherzi più brevi che interrompo io perché, ad un certo punto, mi spavento: la tigre, che è stata brava tutto il giorno, improvvisamente alza la zampa, forse stressata dalle prove, proprio davanti a Leo. Io dico al domatore: “Cosa fa?”. Lui mi guarda più spaventato di me: “Boh, non l’aveva mai fatto”».

Questo è uno tra gli scherzi più visti in assoluto, con Gullotta che alla fine va al Pronto Soccorso. Ora ne scelga uno lei.
«Quello con Francesco Alberoni, cui ristampo il libro riempendolo di refusi a sfondo sessuale: “Lutero”, per esempio, diventa “l’utero”».

Geniale. Quello cui è più legato?
«Lo scherzo ad Alain Delon: è con me in studio e, durante una finta intervista televisiva, lo metto a sedere su una sedia che gira da sola. Poi arrivano telefonate di donne che rivolgono continui complimenti: lui si compiace pensando che siano rivolti a lui, ma poi si scopre che sono mie fan invaghite di me. Alla fine, spazientito, mi tira uno schiaffo».

Quello più faticoso da organizzare?
«A Mickey Rourke. Essendo, lui, un Vip troppo costoso da portare in studio, mi sostituisco alla su bodyguard e lo affianco per una giornata intera. Alla fine mi viene la febbre da quanto sono stremato».

Quello in cui è stato smascherato?
«Con Antonio Di Pietro ai tempi di “Mani Pulite”: durante un finto servizio fotografico, sul più bello, si accorge delle telecamere e urla: “Mi state riprendendo”».

Quello mai andato in onda?
«Sono tanti, ma in particolare quello a Mike Bongiono perché non firma la liberatoria. Organizzo tutto a Saint Moritz, dove lui ha preso casa. Simulo la fuga degli orsi da un centro di acclimatazione e gli calo un finto orso, che in realtà è un attore, sul tettuccio dell’auto. Pure io mi travesto e dovrei arrivare da una discesa laterale per fermarlo e chiudere lo scherzo, ma scivolo sul ghiaccio e mi si sfila la zampa. La moglie se ne accorge e riparte con la macchina».

E lui non la prende bene.
«Ero il suo pupillo, mi adorava, ma da quel momento i nostri rapporti diventano pessimi e mi fa mandare anche una lettera dall’avvocato. E in fondo, di suo pugno, lui aggiunge: “E poi devi essere un coglione a fare degli scherzi a me”».

Mai chiariti?
«Tempo dopo lo rivedo, ho gli occhiali da sole, e gli chiedo: “Mike, sei ancora arrabbiato?”.Lui mi fissa e, molto serio, mi dice: “Ti sei fatto un bell’uomo, sembri un Blues Brothers”».

Dopo “Scherzi a parte”, nel 1997, le offrono di condurre la prima edizione de “Le Iene”.
«Ma rifiuto: mi sono appena separato, mia figlia ha tre anni e mia madre si è ammalata di Alzheimer. Non ce la farei, anche perché le crisi di panico, che ho fin da ragazzino, aumentano».

Fino a sfociare nella depressione.
«Durante “Scherzi a parte” tengo in tasca una pastiglia di Tavor, che ogni tanto tocco per sentirmi sicuro. Ma in quel periodo mi vergogno a raccontarlo».

Finisce pure in una setta.
«Mi consigliano una pranoterapeuta da cui vanno molti personaggi dello spettacolo. Per fortuna mi accorgo subito che c’è qualcosa che non va».

Come ne esce dalla depressione?
«Grazie a mia figlia Benedetta (che ha sposato Matteo Maffucci, cantante degli “Zero Assoluto” ndr): per tranquillizzare lei, piano piano, vinco tutte le paure».

Torniamo alla carriera. Dopo aver fatto altri programmi di successo con Amanda Lear (“Il brutto anatroccolo”), Alberto Castagna (“Stranamore”) e, per ultimo, Teo Mammuccari (“Lo scherzo perfetto”), si allontana lentamente dalla tv.
«Il mondo dello spettacolo è spietato e ti mette da parte con facilità: come tutti, in quegli anni, ho avuto come agente Lele Mora, ma poi non ho più voluto nessuno e ora, se non ti propone qualcuno, non lavori».

Marco, siamo alle ultime domande veloci.
1) Rapporto con la religione?

«Difficile. La mia compagna Roberta, con cui sto da 14 anni senza essermi sposato malgrado sia un’avvocata matrimonialista, è credente e praticante, io no. In passato mi sono avvicinato pure al Buddismo».

2) Paura della morte?
«Sì, ma soprattutto delle malattie».

3) Rapporto con la politica?
«Vengo dal ’68, facevo filosofia in Statale a Milano e portavo l’eskimo, votavo Berlinguer ed ero affascinato dalla sinistra operaia. Poi ho ammirato Craxi e Berlusconi e, infine, sono stato etichettato come leghista perché frequentavo Bossi in pizzeria. Ora? Sono un cane sciolto».

4) Ha guadagnato tanto in carriera?
«Non ho mai pensato ai soldi e non sono mai stato assunto da nessuno: ero libero professionista. Vivevo in un monolocale che i colleghi chiamavano “armadio” per quanto fosse piccolo».

5) Lei ha mai subìto qualche scherzo?
«Ci provavano tutti: al ristorante mi portavano conti esagerati, al bar mi facevano sempre la gag della tazzina del caffè che si rovescia».

Ultima domanda: qualcuno che vorrebbe riabbracciare?
«La mia mamma».