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Simone Inzaghi in crisi, gli manca il ritmo scudetto. Grande dubbio: "E se non fosse da Inter?"

Claudio Savelli
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Se l'Inter è all'altezza dello scudetto, è forse Inzaghi a non essere all'altezza dell'Inter? La domanda è lecita visto che, quando poteva e doveva allungare in vetta alla classifica, la squadra nerazzurra ha frenato. O meglio, ha letteralmente inchiodato (sette punti in altrettante partite disegnano un 2022 da "retrocessione") sia contro le grandi con cui lo scudetto doveva giocarselo (tra Milan, Napoli e Atalanta solo due pareggi, in attesa della Juve dopo la sosta), sia con le medio-piccole con cui non aveva sbagliato un colpo all'andata. Mentre l'Inter si abbassava sotto ad un livello accettabile per lo scudetto, il direttore Marotta alzava l'asticella, smentendo l'allenatore che indicava nei primi quattro posti l'obiettivo stagionale e chiedendo alla squadra di puntare al massimo, al titolo. Il problema è che era l'unico. E lo è tutt' ora. Nonostante le difficoltà e le sollecitazioni, Inzaghi non ha mai cambiato registro. E nemmeno la formazione, i cambi, le scelte. Ha preferito preservare lo status quo, non fosse che si è rotto nel derby di ritorno e punto di non-ritorni. Il mister si è accorto di essere piatto dopo il pareggio con la Fiorentina, quando ha dichiarato "ora tocca a me". Toccherebbe a lui da tempo, ma meglio tardi che mai. Il mister pare posseduto da una sindrome chiara: l'eccesso di accademia. Per non sbagliare, non osa. Le formazioni sono pronosticabili, la tattica è sempre la stessa, le sostituzioni scontate. E se all'andata l'Inter era per certi versi nuova (sopra il lavoro di Conte, Inzaghi ha portato novità), ora è invece conosciuta, studiata. L'antidoto è noto e tutti lo usano. È normale. Non lo è la mancata reazione di Inzaghi. L'impressione è che il mister paghi l'inesperienza nel cammino verso lo scudetto. Non lo ha mai vissuto da favorito, non ne conosce le curve e in esse sta sbandando. Nemmeno Pioli ha mai vinto il tricolore ma lo scorso anno, prima dello strappo di Conte, era lì. Ha preso nota e capito come affrontare i momenti cruciali, le curve di cui sopra. Un esempio: mai rinunciare ai campioni nelle partite-chiave. Infatti Giroud fa la differenza in termini di punti pesanti (doppietta nel derby, gol al Napoli e assist a Bennacer a Cagliari) mentre Inzaghi sostituisce Dzeko nel finale per attenersi al turnover schedulato alla vigilia. In ultimo, la comunicazione. Inzaghi non fa danni, ma nemmeno un sano caos che nell'Inter è sempre stato decisivo. Tutti i mister vincenti della storia nerazzurra alzavano polveroni, anche pretestuosi. Conte, per dire, polemizzava e si lamentava anche per ragioni personali ma così, di riflesso, teneva la squadra e la dirigenza sull'attenti. Chiedeva a tutti di andare oltre, di essere degni del suo status, non lasciava che accadesse il contrario. L'Inter ora avrebbe bisogno di essere messa in discussione, di una scossa, di una svegliata. Non solo ad Appiano ma anche all'esterno. Sia a parole sia nei fatti, con un cambio di modulo, di uomini, di strategia. Se Inzaghi vuole essere da scudetto, deve prima essere da Inter. Qui e ora.

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