Numeri impressionanti

Roberto Mancini, il guaio del Ct? Gli stranieri in Serie A: le cifre che spiegano il flop azzurro

Claudio Savelli

L'Italia potrebbe ripartire da Roberto Mancini ma questi rimane senza una base da cui ripartire. La serie A, infatti, è diventata un campionato italiano solo di nome: di fatto è straniero. Questo dislivello non è compensato da una degna presenza di azzurri all'estero, se è vero che quelli di massimo livello si contano sulle dita di una mano e sono già tutti in Nazionale (Verratti, Donnarumma, Jorginho e Emerson). Su 605 giocatori impiegati in A, solo il 35,7% sono italiani.

 

Poco più di un terzo. Vuol dire che il ventaglio di scelta per Mancini è ridotto ai minimi termini. Difficile cambi dall'oggi al domani, dunque il prossimo quadriennio sarà eventualmente una semina, non il raccolto. Fosse la quantità il problema, si potrebbe anche sopravvivere. La Nazionale lo ha fatto prima e durante l'Europeo. Applicando un gioco autentico, ha elevato la sua forza ben oltre la somma dei singoli. Ma quando il gioco non funziona servirebbero calciatori abituati a partita ad alta tensione, oltre che di qualità. Il problema, quindi, non è solo che in serie A ci sono pochi italiani, è anche che questi giocano poco e quel poco è concentrato per lo più nelle piccole squadre, quindi a basso livello. Vuol dire che i potenziali azzurri, a prescindere dall'età, non hanno vissuto il calcio di vertice e non possono offrire esperienza nel momento del bisogno.

Ne è conferma la squadra con più italiani in rosa (61%, 17 su 28) e in campo (63% dei minuti totali): l'Empoli. Conta ben sette titolari su undici e per via della posizione di classifica lontana dalla retrocessione e del gioco contemporaneo, a cui i calciatori si adattano e in cui crescono, è un modello. Ce ne dovrebbero essere una decina in A di club così, invece quello toscano è l'eccezione che conferma la regola.

 

Il Cagliari (60% di minuti e 55% della rosa coperti da italiani) da gennaio ha intrapreso una strada simile: continui così. E alimentino il made in Italy le genovesi, le uniche altre squadre oltre il 50% di minutaggio azzurro (54% il Genoa, 52% la Samp, la cui rosa è italiana al 58%): tutto il resto è sotto la metà. Altra conseguenza: essendo pochi e per lo più nei piccoli club, questi ultimi alzano il prezzo di mercato degli italiani in rosa. È la legge della domanda e dell'offerta. Se un bene è prezioso, e lo è perché è raro, chi lo detiene ne aumenta il costo. Ma le grandi in tempi di crisi non possono permettersi quei prezzi, dunque preferiscono acquistare uno straniero che costa meno e lasciare gli italiani nel limbo delle medio-piccole (Berardi, 27 anni, è un esempio), bloccandone l'ideale parabola di carriera. 

I top club hanno infatti pochi italiani, dunque gli azzurri che giocano in Europa e accumulano esperienza ad alto livello sono solo una manciata. Milan, Napoli e Atalanta si equivalgono (23-22% di minutaggio, tra il 26 e il 28% di azzurrabili) mentre Inter, Roma e Lazio non vanno oltre la Juventus, che comunque non concede più del 34% di minuti agli italiani, di cui solo due sono tra gli undici più utilizzati. Troppo poco per pretendere una Nazionale di livello Mondiale