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Parigi 2024. quei fenomeni per caso spinti dalle regole incerte

di Daniele Dell'Orco giovedì 1 agosto 2024

3' di lettura

Più che un tema ideologico in sé, quello della competizione sportiva aperta ad atleti trans è un fatto prettamente normativo. O meglio, le associazioni arcobaleno, ovviamente, spalancherebbero le porte di qualunque competizione a chiunque si voglia identificare uomo o donna. Le singole federazioni sportive, però, hanno questo difetto di dover fare i conti con la realtà. E, viste le decine di diverse casistiche che stanno emergendo in questi anni, sono costrette a dover fissare dei parametri. Tutti diversi da sport a sport. Il caso più noto è quello che riguarda la regina dei Giochi Olimpici: l’atletica.

La Federazione internazionale dell’atletica leggera, dal 31 marzo 2023, ha deciso di escludere dalle competizioni internazionali femminili le atlete transgender che hanno attraversato la pubertà maschile e hanno poi completato la transizione uomo-donna. Una normativa che non riguarda le atlete DSD, acronimo di disorders of sex development (cosiddette intersex): queste infatti possono gareggiare a determinate condizioni (con livello di testosterone al di sotto di 5 nanomoli per litro per un minimo di 24 mesi). Rientra in questo caso, molto simile a quello della pugile algerina intersex Imane Khelif di cui si sta facendo un gran parlare, quello di Caster Semenya, due volte medaglia d'oro alle Olimpiadi negli 800 piani. Semenya, biologicamente donna, è rimasta fuori dai nuovi parametri a causa dei suoi livelli alti di testosterone. E, nonostante una lunga battaglia legale col Tribunale Arbitrale dello Sport e col Tas di Losanna, ha dovuto chiudere la sua carriera nell’atletica.

Della categoria intersex con Khelif e Semenya fa parte anche la campionessa di boxe di Taipei (tre ori mondiali, due nei pesi piuma, uno nei pesi gallo) Lin Yu-Ting squalificata dall’International Boxing Association per presunte anomalie nei test di genere del 16 marzo 2023. Il Cio, che ha parametri limite di testosterone differenti da quelli dell’IBA, le ha consentito di partecipare alle qualificazioni e di arrivare a Parigi.

Ovviamente, il tema centrale è il possibile vantaggio per un’atleta transgender o intersex nei confronti delle cisgender, le donne biologicamente donne. Si pensi, per esempio, agli aspetti ereditati dalla pubertà maschile. Tra i quali la densità ossea e muscolare, la grandezza degli arti, la capacità polmonare e cardiaca. Negli sport da combattimento, la questione è ancora più centrale perché si sovrappone a quella della sicurezza delle atlete. Al di fuori delle Olimpiadi, sono ad esempio scioccanti i casi di Alana McLaughlin e Fallon Fox, prime due trans combattenti di Mma. Transitate dalle forze speciali americane nella loro prima vita da uomini, nel ring delle arti marziali miste hanno spazzato via le avversarie donne (tra facili sottomissioni ma anche fratture del cranio) nonostante la transizione ormonale per abbassare il livello di testosterone. Negli altri sport, i casi sono dei più disparati.

La velocista americana Cece Telfer, al 390° posto tra gli atleti maschi della Ncaa Division II nei 400 metri ostacoli e, dopo la transizione, diventata campionessa nazionale nella stessa specialità, ma femminile. La ciclista Jillian Bearden, livello discreto fra gli uomini nella specialità della mountain bike, a 34 anni ha cambiato sesso e ha iniziato a vincere tutte le competizioni (femminili) a cui partecipa. La sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard, mai qualificata per nessun torneo internazionale maschile in 14 anni di gare da uomo, ha cambiato sesso e si è qualificata alle Olimpiadi di Tokyo (senza medaglie).

La nuotatrice americana Lia Thomas, una lumaca in vasca tra gli uomini, ha iniziato a vincere le gare tra le donne e a staccare il pass per Parigi 2024, tra le critiche di una grande icona di sport e di diritti arcobaleno come Martina Navratilova. Solo all’ultimo è stata esclusa. C’è, infine, un caso anche italiano.

È quello di Valentina Petrillo (41 anni), la prima donna transgender a partecipare ad una competizione femminile paralimpica (è ipovedente), nello specifico partecipando ai campionati italiani paralimpici di atletica leggera. Il suo caso ha scatenato forti polemiche poiché conserva di fatto struttura fisica e biologica maschile. A Parigi, però, ci sarà.

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