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Parigi 2024, scandalo infinito nella boxe: il giudice di Irma Testa era corrotto

Federico Danesi
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Ah, che lamentosi questi italiani che cercano sempre una scusa. E così ci siamo sentiti anche in colpa, o meglio così si sono sentiti quelli che erano a caccia di un sogno olimpico, mortificato da giudici come minimo incompetenti. Loro lo hanno detto subito, anche se non è servito a nulla. Oggi però scopriamo che almeno un paio di quelli che decidevano le sorti della boxe erano anche potenzialmente corrotti.

Non lo diciamo noi e nemmeno il Coni, ma il Times che riprende una decisione ufficiale del Cio. Di punto in bianco, nel corso del torneo olimpico, sarebbero stati allontanati due giudici del Kazakistan, Alisher Altayev e Yermek Suiyenish. Il primo è stato identificato come soggetto pericoloso da Richard McLaren, lo stesso scienziato che aveva denunciato il doping di Stato in Russia. Ma soprattutto era al tavolo della giuria durante il match di primo turno tra la nostra Irma Testa, favorita anche secondo gli statunitensi per loro, e la cinese Zichun Xu nella categoria -57 kg.

 

Non solo agli occhi dei meno esperti, ma anche degli addetti ai lavori il successo della napoletana, che aveva cominciato l’ultima ripresa in vantaggio, era apparso netto. Invece era stata battuta ai punti. Così come era successo sempre al primo turno all’altro azzurro Aziz Abbes Mouhiidine, un altro verdetto che aveva fatto gridare allo scandalo. Invece tra gli incontri giudicati da Suiyenish, c’era stata la dubbia sconfitta di Daina Moorehouse contro la francese Wassila Lkhadiri, agli ottavi di finale.

«Alto rischio di corruzione», questa la motivazione del Cio che li ha bloccati mettendoli ko, anche se soltanto in senso metaforico. Resta in realtà da capire se non si tratta di un fenomeno più massiccio, perché gli arbitri sospettati potrebbero essere 9 in tutto, spariti dai tavoli prima che la competizione arrivasse alle sfide per le medaglie.

 

Ma soprattutto perché il Cio che da qualche mese aveva preso in mano l’organizzazione del torneo olimpico dall’Iba, la Federazione mondiale della boxe proprio per la cattiva gestione dei suoi dirigenti, non abbia fatto piazza pulita già prima di Parigi.

Alisher Altayev prima di essere fermato a Parigi è stato 25 volte ai cartellini e 7 volte è salito sul ring ad arbitrare in prima persona. Invece Suiyenish è stato per 21 volte giudice. E adesso tutto tornerà in discussione anche se non ci sono margini per cancellare quello che è stato. In fondo però la storia del pugilato olimpico è piena di verdetti scandalosi e in malafede. Nel 1998 a Seul il pugile di casa, Park Si-Hun, aveva battuto in finale l’americano Roy Jones jr senza nemmeno sfiorarlo, in quello che Rino Tommasi aveva definito «la più grossa rapina mai perpetrata su un ring di pugilato». E nei quarti aveva fatto lo stesso con il nostro Vincenzo Nardiello. Dodici anni fa invece era toccato all’inglese Anthony Joshua che aveva battuto a Londra il nostro Roberto Cammarelle, anche in quel caso con polemiche. Al momento la boxe è fuori dal programma olimpico di Los Angeles 2028, quasi un controsenso nella patria di questa disciplina. Ma il sistema è marcio, impossibile rimediare.

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