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Jannik Sinner, ecco come la Wada lo "usa" sul caso-doping: una scomoda verità

Fabrizio Biasin
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Jannik Sinner dà da mangiare a molti: appassionati, tifosi, nemici, giornalisti, farisei, tutti. Se gli vuoi bene, godi con lui, viceversa cerchi qualunque appiglio per rompergli le balle. In generale, abbondano gli approfittatori e figuriamoci gli amici della Wada (agenzia mondiale antidoping) che, ieri, si è iscritta al partito di coloro che provano a sfruttare la luce sinneria na. Il caso -doping (che caso -doping non è) è noto ai più: al n°1 viene riscontrata una positività al Clostebol per quantità infinitesimali, il n°1 riesce a spiegare quel che è accaduto, l’International Tennis Integrity Agency (Itia) assolve il n°1.

La palla passa alla Wada che ha 21 giorni per presentare ricorso. Il tempo pare essere scaduto, al punto che ieri mattina il Cor Sera annuncia la lieta novella: nessun atto formale, alleluia alleluia. Poi arriva la precisazione: la Wada ha chiesto ulteriore documentazione all’Itia e questo dopo essersi aggrappata a un simpatico comma dell’articolo 13.2 del Codice Antidoping, che riconosce all’agenzia la possibilità di far decorrere i 21 giorni dal momento in cui ha ricevuto la documentazione aggiuntiva. Morale, gli amici dell’agenzia, pur non avendo ancora presentato alcun ricorso, stanno ancora esaminando le scartoffie e decideranno con comodo quale decisione prendere. Il dubbio che è solo un dubbio, per carità - è che lor signori abbiano deciso di fare con calma per raccattare un po’ di visibilità.

 

 

Ma, cosa accadrebbe se costoro decidessero di procedere col Tas? In automatico partirebbe un simpatico processo che comporterebbe mesi di rotture di maroni, titoloni, balle varie. Il tutto per grattare la panza ai nemici di Jannik che in queste settimane sono spuntati come funghi. Hanno parlato di «disparità di trattamento tra giocatori più o meno importanti» e, banalmente, hanno detto boiate in quantità: Sinner ha dimostrato per tempo la sua totale innocenza, ogni ulteriore rottura di maroni sarebbe solo un’ingiustizia, figlia di una stucchevole invidia. 

 

 

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