L’iconico e po’ polveroso logo “quattro-a-tre” di Italia-Germania nel 1970 è stato sdoganato definitivamente da un’Inter spaziale che ha ridisegnato contro il Barcellona, in chiave moderna, quel risultato incredibile. Roberto Boninsegna, che ha vissuto entrambi i “quattro-a-tre” - sul prato dell’Azteca 55 anni fa e davanti alla tv martedì- sta ancora friggendo di gioia per l’impresa nerazzurra.
Bobo, cosa ha provato martedì sera quando l’arbitro Marciniak ha fischiato la fine?
«Di tutto, mi sono eccitato come nel 1970 in Messico perché l’Inter che nel cuor mi sta ha strameritato di vincerla quella semifinale, senza se e senza ma. E contro una squadra che dominerà la scena nei prossimi dieci anni».
Una serata da consegnare agli annali come la sua Italia-Germania 1970?
«Sì. Inutile girarci attorno, il calcio è tattica e talento, bravura e belle giocate. Ma se non c’è il cuore e la testa, tutto diventa vano. Il gol di Acerbi al minuto 93 ne è stato l’esempio».
Ma che ci faceva Acerbi lì, nella posizione di centravanti, in pieno recupero?
«Follie del calcio. Ma follie meravigliose. Per fare un’altra analogia, che ci faceva Burgnich il 17 giugno del 1970 in area tedesca quando pareggiò momentaneamente 2-2 quella partita in Messico? Fu l’unico gol segnato da Tarcisio in carriera».
Fortuna?
«No, magia di questo sport. L’Inter era stata messa sotto pressione dal Barcellona come noi all’Azteca dai tedeschi ma ne è uscita trionfatrice e in finale a Monaco ci va lei e non gli spagnoli».
Come voi in Messico.
«In quella finale ci trovammo davanti il Brasile di Pelè. L’Inter può realizzare quello che non ci fu permesso per manifesta superiorità del brasiliani e per la stanchezza che ci frenò dopo la semifinale. Arrivammo cotti, giocammo 60 minuti al top, poi crollammo».
I criticoni dicono: la partita di martedì l’ha persa il Barcellona.
«In un certo senso sì ma vinci solo se hai la squadra solida e un portiere eccezionale: Sommer ha salvato l’Inter più volte, poi quel fenomeno di Yamal ha centrato il palo nel finale e infine il fato ha baciato l’Inter. Ma è giusto riconoscere gli enormi meriti della squadra di Inzaghi».
Lautaro è stato eroico.
«Direi pazzesco, il Toro non doveva giocare per un infortunio che l’avrebbe anche fuori due settimane. Invece è entrato da leader, ha segnato il primo gol e si è procacciato il rigore del 2-0. Fantastico».
Lautaro come Boninsegna? Un’iradiddio come centravanti?
«Lo sa che mi sarebbe piaciuto giocare con Lautaro, averlo a fianco? Non avremmo formato una brutta coppia di attaccanti anche se Thuram si completa bene con l’argenti no. Il Toro può giocare prima ma anche seconda punta».
È l’attaccante più forte del mondo?
«Più completo e più tattico».
Inzaghi è stato costretto a fare molti cambi e stavolta gli è andata bene.
«A dimostrazione che le seconde linee subentrate non sono poi così scadenti: Taremi ha fatto belle sponde e Frattesi ha fatto il gol del 4-3 che mi ha fatto balzare dalla poltrona: ha ricevuto palla, ha esitato mettendo a sedere due difensori del Barcellona e ha giustiziato Szczesny».
Yamal è un campione, un fuoriclasse o uno venuto da Marte?
«Ha 17 anni e non ricordo molti giocatori con quella facilità nel controllare il pallone. Ha il talento di Pelè e Maradona e la stessa colla nei piedi che aveva Messi».
Cosa non vorrebbe più sentire sulla sua Inter?
«Che, perdendo campionato e Coppa Italia, sta vivendo una stagione così così perché ha lasciato al Napoli lo scudetto. Ma scherziamo? È in finale di Champions».
Cosa chiedere di più?
«Di vincere a Monaco di Baviera la finale. Non c’è mica Pelè dall’altra parte del campo».