C'è stata sincerità, prima di tutto. Il presidente Marotta e Simone Inzaghi, assieme ad Ausilio e Baccin, hanno parlato con franchezza, l'una delle possibilità del club sul mercato e l'altro dei suoi dubbi sulla permanenza in un progetto meno rivoluzionario di quanto sarebbe stato necessario. Dubbi sinceri. Il mister era diviso tra il cuore che gli suggeriva di restare e la mente, non ancora del tutto lucido a causa della finale di Champions League, che gli indicava la via d'uscita. «Solamente quando si è combattuto insieme per raggiungere il successo giorno per giorno, si può avere un dialogo franco come quello accaduto oggi (ieri, ndr)», scrive Marotta sul comunicato emesso dall'Inter pochi minuti dopo la fine della riunione. È la parte saliente, ben più dei ringraziamenti di rito: si lasciano bene, «di comune accordo», prendendo atto delle reciproche necessità. Molti tifosi questa sincerità non la vedono. Per loro Simone Inzaghi aveva già un accordo da aprile con l'Al Hilal e questo spiegherebbe il crollo dell'Inter nel finale di stagione. Rivangano il precedente con la Lazio, lasciata sul punto di firmare il rinnovo proprio per i nerazzurri.
Ma di queste storie è pieno il mondo del calcio per cui è anche inutile convincerli del contrario. Diciamo questo: che Inzaghi lasciasse l'Inter ce lo si poteva aspettare, era fisiologico per il logorio di questi quattro anni; che andasse in Arabia Saudita piuttosto che fermarsi qualche mese per respirare, ecco, è meno da Inzaghi, ma per poter giudicare bisognerebbe avere sul tavolo un'offerta da 50 milioni per due anni semi-sabbatici, diciamo così. È anche un buon modo per non allenare un concorrente dell'Inter, ma in pochi la vedranno in questo modo. Pazienza. A Inzaghi e all'Inter non interessa più di tanto chiarire. L'obiettivo comune era uscirne in modo elegante e così è stato. La riconoscenza interna è sincera. Anche da parte del gruppo squadra che non sapeva nulla a Monaco, contrariamente alle voci circolate sui social: è stata davvero una decisione in bilico fino a ieri.
«La gestione di Inzaghi all'Inter sarà ricordata da tifosi, calciatori, dirigenti e dipendenti come caratterizzati da grande passione, professionalità e dedizione», recita un altro passaggio del comunicato. La parola chiave è "ricordata": lo sarà soprattutto con il senno di poi, magari alle prime difficoltà che inevitabilmente arriveranno con il nuovo corso. Oltre che "ricordata", a quel punto la gestione di Inzaghi verrà anche rivalutata. «Sei trofei: uno Scudetto, due Coppe Italia e tre Supercoppa Italiane, sono il palmares maturato in quattro stagioni, che hanno riportato il club ai vertici del calcio italiano ed europeo», altro passaggio, e anche qui dovrebbe pesare la parte meno evidente, l'ultima: Inzaghi ha rimesso l'Inter al centro del mappamondo del calcio continentale attraverso due finali di Champions e lo ha fatto con risorse da provinciale rispetto allo standard europeo.
Ha chiesto un mercato importante che l'Inter non può garantire al momento perché dipenderà dalle cessioni. Se saranno illustri, ci sarà movimento, altrimenti sarà più che altro un restyling. Di certo non una rivoluzione profonda. Era l'unico antidoto alla sensazione che il ciclo fosse finito. Si poteva riaprire cambiando tanto e tarando gli obiettivi di conseguenza. Non si poteva, secondo Inzaghi, andare in continuità con un'idea che si è fermata, e probabilmente rotta, a Monaco. Il tecnico ha anche valutato gli avversari: Conte che rimane a Napoli e Allegri che torna al Milan senza coppe sono due rivali duri da sostenere se si comincia l'annata con la sensazione che sia una di troppo.
Alla fine l'addio è diventato fisiologico sia per il club sia per Inzaghi. La rivoluzione tecnica ci sarà comunque ma avrà nell'allenatore il protagonista, piuttosto che nei giocatori. E qui nasce il problema: per convincere Fabregas o De Zerbi, in ordine di opportunità e nel giro di uno o due giorni (così ha promesso Marotta), l'Inter dovrà garantire un mercato più rischioso rispetto a quello preventivato. Posto che diversi calciatori verranno rivalutati in modo naturale da un signore con nuove idee. I nomi di Fabregas e De Zerbi sono i più gettonati proprio per questo. L'Inter vorrebbe un tecnico con un'idea di calcio radicata, magari anche estrema e lontana dalla precedente, perché serve un punto di rottura. Serve qualcuno che incuriosisca i calciatori e il pubblico, che metta in discussione lo status quo e, soprattutto, che non abbia paura di allenare l'Inter.