Il divorzio tra l’Inter e Simone Inzaghi appartiene alla categoria delle notizie così grandi e succulente da essere in grado di farne germogliare di ulteriori. Vere, false, presunte? La più gustosa dice che, prima della finale contro il Paris Saint-Germain, l’allenatore avrebbe proposto ad Alessandro Bastoni e Nicolò Barella, due perni della squadra nerazzurra, di seguirlo in Arabia Saudita. Lo scrive il Corriere della Sera.
È una di quelle ricostruzioni che sembrano fatte apposta, qualche malizioso potrebbe anche insinuare suggerite, per gettare la croce su chi se ne va e fornire un buon alibi a chi resta. Se fosse vera infatti, Simone ci farebbe una brutta figura e si potrebbero facilmente addossargli le responsabilità della disfatta a Monaco di Baviera. In onestà, la cosa ci appare troppo clamorosa per bercela proprio tutta. Si sa che Inzaghi aveva da qualche tempo contatti vivi con gli arabi; è possibile che i dirigenti dell’Al-Hilal si siano informati presso di lui su quali giocatori gradisse e non si può escludere che, autonomamente, abbiano sondato qualcuno. Ma Inzaghi che fa campagna acquisti contro l’Inter prima della finale non è credibile. Non lo è per la storia dell’uomo e non lo è perché nel calcio queste cose non si dimenticano e si pagano a vita.
LE RAGIONI DELL’ADDIO
Quindi anche se tra una settimana Francesco Acerbi, o chi per lui, dovesse seguire il mister in Arabia, è ipotizzabile che questo sarebbe figlio di una trattativa successiva alla finale, magari benedetta anche dalla società nerazzurra, che deve alleggerirsi per ripartire.
Una cosa infatti è certa: Simone e l’Inter si sono lasciati benissimo; anzi, in un certo senso si sono lasciati anche perché non si guastassero i rapporti. La convivenza l’anno prossimo sarebbe stata difficile per tante ragioni, dal peso del secondo scudetto perso, nel modo oltre che nel risultato, del quale la società avrebbe potuto chiedere il conto in ogni momento, alle amarezze del mister per non aver avuto nessun aiuto dal mercato di gennaio ed essere stato costretto a battersi con una mano legata dietro la schiena.
Nel tragico finale di stagione, la contaminazione araba, se ha agito, lo ha fatto solo sull’allenatore. La sensazione è che Inzaghi sia arrivato alla meta stremato dal dover fare sempre i miracoli e mettere sempre la faccia su responsabilità non sue che ne offuscavano i meriti. Il mister legittimamente si aspettava che la sua capacità di fare le nozze con i fichi secchi per quattro anni sarebbe stata premiata da un mercato per una volta degno di lui e delle ambizioni della squadra. Quando ha intuito che non sarebbe stato così, ha perso fiducia nella dirigenza e ha ceduto di schianto e probabilmente la cosa ha avuto ripercussioni negative sull’ambiente. Da qui il cinque maggio a pezzi delle occasioni perse in campionato e la debacle della finale, con Barcellona come parentesi in un periodo dove la squadra è arrivata anche a perdere 3-0 da un Milan alla deriva.
In una situazione difficilissima, forse a Simone è mancata la tenuta finale, una personalità special. Ho detestato José Mourinho per come se ne è andato nel 2010, rovinandoci la festa, e goduto del fatto che, dopo averci mollato, non gli sia mai più riuscito nulla di simile a quello che gli era riuscito con noi. Però gli va riconosciuto di aver saputo tenere l’ambiente compatto fino al fischio finale.