Alla vigilia dello US Open, Jannik Sinner è sereno, consapevole della propria forza e della sua tenacia, seduto al media day, con l’aria di chi sa d’essere osservato da tutti, e forse anche giudicato, ma senza che questo lo turbi davvero. C’è una leggerezza nel suo volto, come se fosse appena uscito da un allenamento qualunque, e invece lo attende il torneo che chiude la stagione degli Slam, quello che a New York mescola rumore e poesia, caos e grandezza. Dopo la vittoria di Wimbledon e quello che è successo a Cincinnati, New York è il banco più di prova possibile.
«Sono molto felice di essere qui; è un grande torneo, l’ultimo Slam dell’anno, quindi le motivazioni sono altissime. Fisicamente mi sento bene: a Cincinnati ho avuto un virus che hanno preso anche altri giocatori, niente di grave. Non sono ancora al 100%, ma ci arriveremo nei prossimi giorni». Parole che rassicurano dopo il ritiro nella finale dell’Ohio, ma che lasciano intravedere la prudenza di un ragazzo che ormai sa come gestire il proprio corpo e le aspettative.
Non poteva mancare l’argomento che più divide e affascina tifosi e addetti ai lavori: la rivalità con Carlos Alcaraz. Sinner ha accolto il tema con un sorriso e una risposta alla Sinner: «Io e Carlos siamo diversi. Lui è velocissimo, arriva su palle che per altri sarebbero impossibili, quindi legge il gioco in maniera differente. Abbiamo stili e tatticismi diversi dentro e fuori dal campo, ma ci accomuna la stessa cosa: ci alleniamo tanto, viviamo per il tennis. E' la nostra priorità, perché alla fine sono i dettagli a fare la differenza». Un confronto che si alimenta torneo dopo torneo. «Se non continuiamo a migliorare, gli altri ci prenderanno. E' solo questione di tempo. Per questo cerco sempre di capire su cosa lavorare. La rivalità è positiva, ti spinge a fare di più».
OCCHIO AL PASSATO
Sinner è tornato anche sull’edizione scorsa dello US Open, disputata a pochi giorni dalla rivelazione del caso Clostebol: «Adesso mi sento diverso. L’anno scorso era una situazione molto più stressante, anche perché arrivata proprio prima di uno Slam. $ stato difficile gestire tutto. Anche per me, che sono ancora giovane». Il momento più intenso della conferenza è arrivato quando Jannik ha ricordato i suoi inizi. Parole che raccontano meglio di tante statistiche il percorso che lo ha portato in vetta. «Ai miei genitori dissi che se a 23 o 24 anni non fossi stato nei primi 200 avrei smesso. Non potevamo permettercelo economicamente, viaggiare con un coach costa tanto. Per fortuna già a 18 anni ho iniziato a guadagnare e mi sono sentito più sicuro. Quando sei giovane dici dei sogni, senza crederci davvero. Io dicevo: voglio diventare numero 1, voglio vincere uno Slam, ma erano frasi buttate lì. Entrare nei primi 100 sarebbe stato già il massimo. Tutto quello che è arrivato dopo è un grande extra».
Una consapevolezza che oggi si è trasformata in responsabilità: «Adesso capisco il mio potenziale. Se gioco bene posso vincere tornei. La prospettiva è diversa». Sinner ha dribblato con la consueta eleganza altre domande più generali, come quella sul calendario sempre più impegnativo: “Cambierei molte cose del circuito... ma non ve le dico» ha risposto sorridendo alla sua maniera.