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Immigrazione, la sentenza politica: cosa si inventano i giudici pur di far invadere l'Italia

di Andrea Morigi domenica 19 dicembre 2021

3' di lettura

Per la giornata dei diritti dei migranti, che ricorreva ieri, i pochi che hanno colto l'occasione di festeggiare hanno preso come spunto la sentenza della sesta sezione penale della suprema corte di Cassazione che, il 16 dicembre scorso, aveva reso noto di aver riconosciuto a due stranieri, i quali il 10 luglio 2018 si erano opposti al rimpatrio in Libia, di aver agito al fine di salvare sé e gli altri naufraghi dal rischio di patire nuove, gravissime lesioni dei diritti alla vita, alla integrità fisica e sessuale, a tutela della loro prerogativa di essere portati in un place of safety e di ottenere protezione internazionale. Questo almeno era il parere del giudice per le indagini preliminari di Trapani, sulla condotta degli imputati, i quali tuttavia, dopo essere stati assolti per i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, violenza e resistenza aggravata a pubblico ufficiale, erano stati riconosciuti colpevoli dalla Corte d'Appello di Palermo, che il 3 giugno del 2020 li aveva condannati a tre anni e sei mesi di reclusione e a 52mila euro di multa, ritenendo l'approccio del giudice di primo grado «ideologico» sul rilievo che «tali problematiche devono trovare adeguata soluzione nell'unica sede a ciò deputata, ossia quella politica del confronto interstatuale».

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IL CASO GIUDIZIARIO
Si trattava della vicenda del presunto "dirottamento" di un rimorchiatore battente bandiera italiana, il Vos Thalassa. Nell'occasione erano state mobilitate addirittura le forze speciali della Marina Militare, per evitare rischi all'incolumità dell'equipaggio, dopo che la rotta della nave era stata invertita per tornare verso la Libia. I migranti, refrattari al ritorno verso la costa sud del Mediterraneo erano stati poi trasbordati sulla nave Diciotti della Marina Militare. Se il Sole-24 Ore ritiene che sia il principio giuridico della «legittima difesa» ad aver guidato gli ermellini (presidente Mogini ed estensore Silvestri) nel rispondere in modo affermativo al quesito loro posto, Avvenire considera invece prevalente il «diritto al non respingimento». Il che significherebbe abolire definitivamente ogni possibilità di vietare l'ingresso nelle acque territoriali italiane ai migranti clandestini.

LA SENTENZA POLITICA
Ecco perché per gli avvocati Fabio Lanfranca e Serena Romano, difensori degli imputati, la questione sfugge ormai alle giurisdizioni nazionali, le cui prerogative si vedono così scavalcate dalle scelte degli individui, in quanto «il rispetto dei diritti umani è un tema sottratto alle autorità statali, che trova fondamento nelle norme di diritto internazionale a tutela della vita e della integrità della persona». Perciò i legali esprimono «grande soddisfazione per questa importante pronuncia che, in linea con l'orientamento già espresso nella vicenda della comandante Rackete e, prima ancora, nella sentenza Hirsi Jamaa e altri contro Italia del 23 febbraio 2012, ribadisce, una volta di più, che le operazioni di soccorso in mare che si concludano con il rimpatrio dei naufraghi in Libia costituiscono una violazione di principio del non refoulement e violano il diritto delle persone soccorse ad essere portate in un posto sicuro dove la loro vita non sia più minacciata e sia garantito il rispetto dei loro diritti fondamentali».

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I magistrati di Area democratica per la giustizia, di orientamento progressista, vanno oltre con una lettura squisitamente politica: se la «resistenza ad un rimpatrio illegittimo non è punibile», è stata sconfessata «la dottrina dei "porti chiusi" adottata dal ministro degli interni dell'epoca, Matteo Salvini». Proprio dalla Lega, il deputato Manfredi Potenti annuncia dalla sua pagina Facebook un provvedimento legislativo «che garantisca allo Stato italiano il diritto di difendere le proprie coste e ad esercitare le proprie ragioni istituzionali a tutela della sicurezza della comunità italiana e per prevenire il rischio di infiltrazione da parte di soggetti che possono avere intenzioni criminali».

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