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Immigrazione, "agenzia-sbarchi di lusso": chi fanno arrivare in Italia

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Massimo Sanvito
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E ora chi glielo spiega ai santoni del buonismo imperante? Agli ultras dell'invasione di massa? Alle anime candide della sinistra per cui accostare le parole immigrazione e terrorismo è un sacrilegio? Ciò che i militari del nucleo di polizia economica della Guardia di Finanza di Agrigento hanno scoperchiato dopo una lunga attività d'indagine - l'operazione Charon - è la rappresentazione plastica dei pericoli che portano con sé barche, barconi e barchini che solcano il Mediterraneo per riempire le nostre coste di sedicenti profughi. Dalla Tunisia alla Sicilia, carichi di balordi sulle cui teste pendevano ordini di carcerazione da parte delle autorità nordafricane. Altro che in fuga dalla guerra: scappavano dalla galera. E a muovere i fili erano due bande criminali, una tunisina e l'altra italiana formata da siciliani di Canicattì e Marsala. Il Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo siciliano, ha emesso ordinanze cautelari per dieci persone, eseguite dalle fiamme gialle provinciali di Agrigento, Trapani, Caltanissetta, Messina e Siena: l'accusa, per tutti, è di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ma ad alcuni degli indagati si contestano anche intrecci e relazioni con cellule legate al terrorismo internazionale.

 

 

CAPI E SCAFISTI
L'associazione era piramidale. Al vertice un nostro connazionale (canicattinese), 46 anni, e due tunisini di 51 anni: erano loro i finanziatori e gli organizzatori dei viaggi di lusso a bordo di gommoni veloci. Un altro uomo di Canicattì, 62 anni, aveva il compito di tenere i contatti coi nordafricani. E ovviamente non poteva mancare nemmeno lo scafista, 39 anni, nonché guardiano dei mezzi navali e delle strutture dove venivano ormeggiati. Il salto di qualità, però, era racchiuso nella sicurezza e nell'anonimato che venivano garantiti ai migranti. Rispetto alle classiche traversate era ben diverso: si pagava di più ma si viaggiava più comodi e, soprattutto, una volta sbarcati in Italia non si passava per la lunga trafila delle identificazioni. Tradotto: i clandestini erano liberi di girare per le nostre città nonostante fossero ricercati dai paesi d'origine per aver commesso reati o, peggio ancora, con finalità a dir poco agghiaccianti: nessuno può infatti escludere che tra quei finti disperati ci fosse qualcuno pronto a compiere stragi in nome di Allah.

I trafficanti di esseri umani si stanno evolvendo ed è un bel guaio per noi. I membri dell'associazione, organizzatissimi, erano in contatto tra loro ventiquattr'ore su ventiquattro, parlavano in codice, cambiavano schede telefoniche di continuo e agli extracomunitari fatti entrare illegalmente sul territorio italiano mettevano a disposizione imbarcazioni di valore, auto, telefoni (spesso intestati a terzi), abitazioni per ospitarli e capanni per nascondere i gommoni. Alla base di tutto, però, c'era una consolidata rete di contatti con le organizzazioni tunisine. Il castello è caduto sotto i colpi di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, riprese video, monitoraggi degli spostamenti, controlli in mare e sequestri.

 

 

GANG TRANSNAZIONALI
«Le indagini hanno dimostrato la capacità delle organizzazioni criminali a carattere transnazionale di offrire, nel settore dei traffici di esseri umani, nuovi servizi volti a rendere le traversate più sicure, ovviamente in cambio di retribuzioni maggiorate con lauti guadagni, ma, anche e soprattutto, a garantire la non identificazione delle persone sbarcate da parte delle autorità nazionali», hanno spiegato gli investigatori della Guardia di Finanza. «Ciò sia per assicurare una loro maggiore libertà di movimento una volta giunti a destinazione, sia per consentire ai ricercati di sfuggire alle forze di polizia o per assicurare l'anonimato a quei soggetti che si recano in Europa con finalità illecite». In un caso, le indagini hanno accertato che il principale responsabile dell'organizzazione e alcuni suoi soci in affari sporchi avevano ospitato in provincia di Trapani, e poi aiutato a fuggire in Tunisia, un uomo destinatario di mandato di cattura europeo spiccato dall'autorità giudiziaria della Repubblica Federale di Germania. Si era macchiato di un tentato omicidio, a Lipsia nel 2020, e grazie all'associazione criminale siculo-tunisina era riuscito a sfuggire alle ricerche da parte delle forze dell'ordine tedesche e italiane. E queste sarebbero le risorse dell'immigrazione tanto decantate a sinistra?

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