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Ong, l'appello all'Organizzazione delle migrazioni: "Non collaborate col protocollo-Albania"

venerdì 15 novembre 2024

2' di lettura

Dopo il governo, le ong prendono di mira l'Organizzazione internazionale delle migrazioni. Tutto vero: 14 organizzazioni pro-migranti, tra cui Sea-Watch, Msf, Emergency, Sea-Eye, Sos Mediterranee, Mediterranea saving humans, le provano tutte pur di mettere i bastoni tra le ruote all'esecutivo. Soprattutto sul protocollo Italia-Albania che, a loro dire, "viola il codice di deontologia medica e i diritti umani e mette a rischio la salute fisica e psicologica delle persone migranti". Le 14 ong, impegnate nel soccorso civile nel Mediterraneo centrale, si appellano dunque a operatori e professionisti della salute affinché "non si rendano complici del Protocollo e delle sue violazioni".

Secondo le procedure previste dal protocollo, spiegano i medici e gli infermieri delle ong, a bordo della nave militare Libra e a bordo delle motovedette italiane "non sussistono le condizioni perché possa essere effettuata una valutazione adeguata dello stato di salute di una persona. Non è presente, infatti, un ambulatorio medico nè stanze adibite a tale scopo che garantiscano una adeguata privacy e una opportuna percezione di luogo sicuro, come non sono presenti strumenti in grado di diagnosticare determinate condizioni cliniche e patologie, acute o croniche".

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Ma non è tutto. Le ong se la prendono con i luoghi di detenzione amministrativa. A loro dire "rappresentano, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), un fattore di rischio per la salute mentale e fisica, in particolare per la possibile diffusione di malattie infettive e per i bassi standard di presa in carico e cura anche delle malattie non trasmissibili". Ecco allora arrivare al punto: "In considerazione delle ragioni esposte per cui il sistema previsto dal Protocollo Italia-Albania è patogeno per le persone, delle criticità strutturali che rendono impossibile una valutazione adeguata delle vulnerabilità e, soprattutto, del fatto che le persone soccorse in mare debbano essere ritenute tutte vulnerabili per i motivi sopracitati - aggiungono gli operatori sanitari - riteniamo inaccettabile la pratica di ’selezione medico-sanitaria come criterio per la deportazione in Albania".

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