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L'asilo in moschea: provano a normalizzare la sottomissione all'Islam

I bambini fatti inginocchiare verso la Mecca per pregare. Il Pd esulta, ma simulare una preghiera islamica non è normale
di Daniele Capezzone lunedì 5 maggio 2025

3' di lettura

Un giornale – egoisticamente – potrebbe rallegrarsi quando sceglie una strada non battuta da altri. E tuttavia qui a Libero non ci siamo affatto sentiti confortati, ieri, nello scoprire che la quasi totalità dei media scritti e audiovisivi avevano largamente sottovalutato la storia dei bimbi dell’asilo (età dai tre ai cinque anni) portati in moschea e invitati – non trovo altre parole – a simulare una preghiera islamica, con tanto di inginocchiamento verso la Mecca.

Non solo. Anche per tutta la giornata di ieri – quindi, per così dire, a mente fredda – la surreale vicenda ha vissuto nuove puntate: applausi scroscianti del Pd (sempre pronto a sfrecciare contromano in autostrada), gran silenzio delle gerarchie cattoliche ad ogni livello, più le dichiarazioni disarmanti delle insegnanti e dei responsabili della scuola (paritaria, parrocchiale, cristiana) che ha portato i bimbi dall’imam. Disarmanti per la loro palese buona fede, intendo: buona fede – sia consentito – che in questo caso pare quasi un’”aggravante”, poiché sembra mancare la consapevolezza del reale significato del gesto e delle immagini che tutti abbiamo visto.

Un conto è conoscere un’altra cultura (molto bene, ovviamente), altro conto è simulare una preghiera islamica come se fosse la cosa più normale del mondo. Siamo ormai a una sorta di normalizzazione della sottomissione. Esagero? Forse per difetto: immaginate cosa sarebbe successo se bimbi di tre-quattro-cinque anni di religione islamica fossero stati incoraggiati a inginocchiarsi in una chiesa cristiana o a pregare in una sinagoga. Si griderebbe – da parte degli stessi che oggi tacciono – contro un’operazione di prepotenza culturale, di forzatura sulla pelle dei bambini, e naturalmente si urlerebbe contro l’integralismo e a favore della laicità.

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Curioso destino quello dei concetti di “laicità” e “integralismo”, costretti a una sorta di alternanza, di intermittenza. Quando l’uno lampeggia, l’altro va in ombra e viceversa. Se si tratta di evitare di pronunciare la parola “Natale”, di staccare il crocifisso da qualche parete scolastica, di dire no all’allestimento di un presepe, allora è il grande momento della laicità. Se però si tratta di portare i bimbi cattolici in moschea – oplà – la laicità sparisce e si ritira. E l’integralismo?

Compare (a volte a torto, altre a ragione) ogni volta che le vicende dello stato italiano si sfiorano con quelle della Chiesa cattolica, ma – magia – scompare quando ci sono di mezzo gli islamici.

Del resto, a queste apparizioni e sparizioni siamo abituati. Veniamo da annidi rumorose campagne contro il “patriarcato”: se però il patriarcato è musulmano, scatta l’amnistia.

Siamo giustamente affezionati alle battaglie a difesa del “corpo delle donne”: se però il corpo femminile è islamico, subentra l’amnesia. E così anche per la libertà sessuale, il libero orientamento e le preferenze di ciascuno, la libertà di pensiero e di parola, il dissenso politico: tutte cose che giustamente pretendiamo qui, ma non ci importano nel mondo islamico e nemmeno nelle comunità islamiche che vivono in mezzo a noi (e che talora pretenderebbero di far prevalere la loro visione religiosa sulla nostra legge).

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Non finirà bene, c’è da temere. Ci vorrebbe un Requiem per troppe anime perse, per coloro che hanno considerato – o hanno fatto finta di considerare – quell’atto verso i bimbi della provincia di Treviso una cosa normalissima, una faccenda di nessun rilievo. I soliti sonnambuli continuano a camminare dormendo: probabilmente andando a sbattere, ma sempre senza svegliarsi.

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