Un giornale – egoisticamente – potrebbe rallegrarsi quando sceglie una strada non battuta da altri. E tuttavia qui a Libero non ci siamo affatto sentiti confortati, ieri, nello scoprire che la quasi totalità dei media scritti e audiovisivi avevano largamente sottovalutato la storia dei bimbi dell’asilo (età dai tre ai cinque anni) portati in moschea e invitati – non trovo altre parole – a simulare una preghiera islamica, con tanto di inginocchiamento verso la Mecca.
Non solo. Anche per tutta la giornata di ieri – quindi, per così dire, a mente fredda – la surreale vicenda ha vissuto nuove puntate: applausi scroscianti del Pd (sempre pronto a sfrecciare contromano in autostrada), gran silenzio delle gerarchie cattoliche ad ogni livello, più le dichiarazioni disarmanti delle insegnanti e dei responsabili della scuola (paritaria, parrocchiale, cristiana) che ha portato i bimbi dall’imam. Disarmanti per la loro palese buona fede, intendo: buona fede – sia consentito – che in questo caso pare quasi un’”aggravante”, poiché sembra mancare la consapevolezza del reale significato del gesto e delle immagini che tutti abbiamo visto.
Un conto è conoscere un’altra cultura (molto bene, ovviamente), altro conto è simulare una preghiera islamica come se fosse la cosa più normale del mondo. Siamo ormai a una sorta di normalizzazione della sottomissione. Esagero? Forse per difetto: immaginate cosa sarebbe successo se bimbi di tre-quattro-cinque anni di religione islamica fossero stati incoraggiati a inginocchiarsi in una chiesa cristiana o a pregare in una sinagoga. Si griderebbe – da parte degli stessi che oggi tacciono – contro un’operazione di prepotenza culturale, di forzatura sulla pelle dei bambini, e naturalmente si urlerebbe contro l’integralismo e a favore della laicità.
Curioso destino quello dei concetti di “laicità” e “integralismo”, costretti a una sorta di alternanza, di intermittenza. Quando l’uno lampeggia, l’altro va in ombra e viceversa. Se si tratta di evitare di pronunciare la parola “Natale”, di staccare il crocifisso da qualche parete scolastica, di dire no all’allestimento di un presepe, allora è il grande momento della laicità. Se però si tratta di portare i bimbi cattolici in moschea – oplà – la laicità sparisce e si ritira. E l’integralismo?
Compare (a volte a torto, altre a ragione) ogni volta che le vicende dello stato italiano si sfiorano con quelle della Chiesa cattolica, ma – magia – scompare quando ci sono di mezzo gli islamici.
Del resto, a queste apparizioni e sparizioni siamo abituati. Veniamo da annidi rumorose campagne contro il “patriarcato”: se però il patriarcato è musulmano, scatta l’amnistia.
Siamo giustamente affezionati alle battaglie a difesa del “corpo delle donne”: se però il corpo femminile è islamico, subentra l’amnesia. E così anche per la libertà sessuale, il libero orientamento e le preferenze di ciascuno, la libertà di pensiero e di parola, il dissenso politico: tutte cose che giustamente pretendiamo qui, ma non ci importano nel mondo islamico e nemmeno nelle comunità islamiche che vivono in mezzo a noi (e che talora pretenderebbero di far prevalere la loro visione religiosa sulla nostra legge).
Non finirà bene, c’è da temere. Ci vorrebbe un Requiem per troppe anime perse, per coloro che hanno considerato – o hanno fatto finta di considerare – quell’atto verso i bimbi della provincia di Treviso una cosa normalissima, una faccenda di nessun rilievo. I soliti sonnambuli continuano a camminare dormendo: probabilmente andando a sbattere, ma sempre senza svegliarsi.