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Luigi Bisignani: "Eni, ecco come è andata"

Andrea Tempestini
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Di essere indagato per corruzione internazionale sull'affaire Eni-Nigeria Luigi Bisignani l'ha appreso dal Corriere della Sera. «Di fatto è stato così», spiega, «perché gli atti sono arrivati al mio avvocato la sera prima dell'uscita del Corriere, che probabilmente aveva tutto prima. Ho letto le cose che mi riguardavano sulla stampa. Poi sugli atti ufficiali». Bisignani non nasconde una punta di irritazione, in questa intervista a Libero, per come sono state date le notizie di un'indagine «dove non c'entro nulla, ma questo è un altro paio di maniche». Bisignani, chi la fa l'aspetti. Ci abbiamo ironizzato anche noi di Libero: è la vendetta del Corriere per il suo libro «Il Direttore», che sembrava disegnato su via Solferino... «Non ho nulla contro il Corriere. Ma la vostra tesi... Beh, risponderei all'Andreotti: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”. Anche perché l'informazione data non era completa». Cosa mancava? «Beh, adesso ho letto le carte. Per esempio la pagina 66 della rogatoria firmata dal pm Sergio Spadaro c'è scritto nero su bianco: “In nessun punto è stato sostenuto che vi sia stato pagamento di commissioni a favore di Bisignani”. Ecco, questo passaggio conferma quel che ho detto in ogni occasione, e cioè che da questa vicenda non ho preso un euro». Però lei secondo le intercettazioni la mediazione l'aveva tentata. «Ecco, anche sulle intercettazioni è accaduta la stessa cosa. Quelle a mio favore non escono mai. Eppure ci sono. Ad esempio nell'ottobre 2010 c'è una telefonata fra il finanziere Gianluca di Nardo e me, in cui Di Nardo dice: “Ci hanno scavalcato, vanno direttamente da lui”». Così però capiamo poco anche noi. Mi racconti dall'inizio come è entrato in questa storia. «Sinteticamente: c'è una società, la Malabu Oil & gas ltd, controllata pare da un ex ministro nigeriano- Dan Etete- che è proprietaria di un pozzo di petrolio che ha la concessione Opl 245. Questa società vuole vendere il pozzo e si rivolge a una banca d'affari, la Energy Venture, posseduta da un signore nigeriano che ha studiato a Londra- Emeka Obi, amico e forse socio di un finanziere italiano che io conoscevo da lungo tempo, Gianluca Di Nardo. È proprio lui a chiamarmi per avere un contatto diretto con l'Eni, che era un possibile compratore. Di Nardo sapeva che io conoscevo bene Paolo Scaroni, quindi è comprensibile la sua richiesta». Quindi lei chiama Scaroni. E lui cosa le dice? «Mi spiega che su quel pozzo, che in parte era anche di Shell, esisteva un contenzioso pazzesco da anni. Si mostrò subito interessato, e disse: “Ne parlo con Claudio Descalzi che sa tutto della Nigeria”. Infatti l'attuale amministratore delegato dell'Eni aveva vissuto e lavorato là a lungo». E Descalzi era interessato ad acquistare? «Si mise in contatto con questo signor Obi. So che si sono parlati più volte lui e Descalzi. Poi l'Eni ha comunicato ad Energy Venture che la discussione non sarebbe più proseguita perché era iniziata una trattativa diretta con il governo nigeriano». E lei Bisignani a quel punto è uscito di scena? «A dire il vero io non avevo fatto nulla anche prima. Mai partecipato a una riunione, né discusso dei dettagli di quel pozzo. Per altro poi fui coinvolto nell'inchiesta sulla P4 e non avevo modo di occuparmi di Nigeria, né in quelle condizioni in cui mi trovavo ovviamente qualcuno si sarebbe rivolto a me. Quindi non seppi più nulla fino alla telefonata di Di Nardo che si lamentava come Energy Venture di essere stato scavalcato. Solo dopo ho saputo che molti mesi dopo che l'Eni aveva concluso l'affare con il governo nigeriano hanno intentato e vinto una causa a Londra contro il padrone del pozzo che aveva dato mandato ufficiale per la vendita». Ecco, questo punto non mi è chiaro: se il padrone del pozzo era quella società dell'ex ministro, perché l'Eni invece di trattare con loro ha scelto il governo nigeriano? «Questo bisognerebbe chiederlo all'Eni non certo a me. Forse a leggere i giornali di questi giorni c'era un contenzioso fra il proprietario e il governo nigeriano, che era comunque il titolare ultimo della licenza di estrazione. Poi è finita che l'Eni ha chiuso con il governo, e parte dei soldi sono stati rigirati dal governo nigeriano alla società titolare del pozzo. Evidentemente la banca d'affari che avevo inizialmente segnalato non era gradita né all'Eni né al governo nigeriano». Risultato finale per quello che la riguarda: lei non ha fatto nulla di decisivo in questa vicenda, e quindi non c'era ragione che le si pagasse una consulenza o una intermediazione che non c'è stata... «E infatti non ho ricevuto un euro, come ho detto più volte. E come per altro aveva spiegato anche ai pm di Napoli lo stesso Scaroni quando fu interrogato. Forse se assieme alla Shell proprietaria di una parte del pozzo avessero seguito la strada più naturale - quella di comprare dal suo proprietario- tutto questo pasticcio non sarebbe mai nato... ma hanno pensato di trattare con il governo». E lei ci avrebbe ricavato qualcosa... «Probabilmente sì , se l'Eni non avesse messo da parte la società segnalata ma non si arrivò neppure a parlarne visto che quasi subito venne seguita un'altra strada....Certamente non con l'Eni che mi ha fatto fare solo una brutta figura...». intervista di Franco Bechis @FrancoBechis

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