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Filippo Facci: A che serve Davigo?

Giulio Bucchi
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Ieri, in un'intervista a Repubblica, Renzi ha detto: «Noi facciamo le leggi, loro i processi». Ecco, purtroppo non è vero, e siamo al punto chiave. Tutte le leggi sulla giustizia dal 1989 a oggi, a badarci, tendono a introdurre sempre le stesse riforme: la terzietà del giudice, la pari dignità tra accusa e difesa, il carcere come extrema ratio, le indagini segrete e il processo pubblico, la prova che dovrebbe «formarsi» in aula, la responsabilità delle toghe che commettano errori gravi, i tempi decenti per avere un giudizio, la relativa prescrizione del reato, la non pubblicabilità di cartacce che non c'entrano col processo, le solite cose. E tutte le leggi dal 1989 a oggi, se ci badate, si sono regolarmente schiantate contro la magistratura stessa: perché la giurisprudenza la fanno loro, l'interpretazione la fanno loro, l'applicazione contraria allo spirito delle norme è sempre opera loro: dall'alto (Cassazione e corti varie) e dal basso (singola toga che distorce una norma perché semplicemente non gli piace). Ogni nuova legge, insomma, cerca solo di rendere inequivoci e indubbi i principi enunciati nelle leggi precedenti: con correttivi, bozze, leggine, decretini, riformine e aggiuntine. Certo: se una legge è scritta da schifo, applicarla a piacimento è facilissimo. Se è scritta bene, neppure basta: la sua corretta applicazione è legata anche agli umori dell'opinione pubblica. Ecco: Davigo si rivolge esclusivamente a essa, ed è stato eletto per questo. di Filippo Facci

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