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Sansonetti: "La commissione Bindi come un tribunale fascista"

Matteo Legnani
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Ammettiamo l'ignoranza: finora non sapevamo bene come funzionasse la Commissione parlamentare antimafia. Probabilmente perché non siamo parlamentari e neppure mafiosi. Quali domande fanno i commissari? Di cosa si discute realmente dietro quelle porte? La Commissione è utile? Ora abbiamo qualche risposta, e di questo dobbiamo ringraziare Piero Sansonetti, che scrive: l'antimafia (presidente Rosy Bindi, Pd, vicepresidenti Claudio Fava, Sel, e Luigi Gaetti, Movimento 5 Stelle) è un tribunale fascista. E aggiunge, con poche speranze: chiudetela. Viola la Costituzione, questa Commissione, ha una scarsissima conoscenza dei principi democratici, ha comportamenti eversivi e illegali. Tutto tra virgolette, beninteso. Lo dice Sansonetti e fino a prova contraria o smentita dobbiamo credergli. Conoscete Piero Sansonetti, e se non lo conoscete ve lo raccontiamo brevemente noi: come giornalista nasce all'Unità (cronista, notista politico, caporedattore, vicedirettore e condirettore), poi va a Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista (direttore), poi ancora a Calabria Ora, sempre direttore. Oggi Sansonetti dirige Il Garantista. In Commissione antimafia c'è finito per Calabria Ora. Ovvio, direte voi: da quell'osservatorio lì, ha visto tante cose e tante cose può raccontare. La Calabria, la 'ndrangheta, i boss e tutto il resto. Neanche per sogno: la Commissione ha interrogato Sansonetti - sono sempre parole del giornalista - perché temeva o aveva idea o nutriva il sospetto che il suddetto Sansonetti e la suddetta Calabria Ora fossero subalterni al potere mafioso, che non è un'accusa di poco conto. E perché sarebbero stati subalterni alla mafia? Perché non erano subalterni alla Procura di Reggio. Strane idee che hanno in questa strana Commissione (presidente sempre la Bindi, ma a porre le domande al giornalista è stato Claudio Fava): se uno non sta con uno, la Procura, vuol dire che sta con l'altro, cioè il nemico della Procura, la mafia. Impossibile che uno stia con se stesso, il suo mestiere. Impossibile che uno faccia semplicemente il giornalista. Perché il giornalista, spiega la Commissione, in Calabria deve occuparsi «un po' meno delle notizie e un po' più di spalleggiare la lotta alle 'ndrine». E Claudio Fava è anche giornalista, figlio del giornalista Giuseppe Fava, fondatore de I Siciliani ucciso dalla mafia. Chiede la Commissione a Sansonetti: come mai ha avuto vari incontri, persino nel suo studio, con l'avvocato Titta Madia, che assisteva Giuseppina Pesce, collaboratrice di giustizia? Per la verità, Sansonetti non ha mai incontrato l'avvocato Titta Madia. Ma ha importanza per una Commissione che pretende che i giornalisti non facciano il proprio lavoro, non incontrino gli avvocati, non riportino le notizie di cui sono al corrente eccetera eccetera? Commissione, ripetiamo, il cui vicepresidente è un giornalista figlio di giornalista. Chiede la Commissione a Sansonetti: come mai ha pubblicato le lettere del figlio di un boss mafioso che protestava perché a suo padre era stato negato il funerale in Chiesa? Per la verità, Sansonetti non sa cosa rispondere, ma si sforza: guardi che un cittadino è un cittadino, guardi che il mafioso era il padre, guardi che comunque quella era una notizia. La Commissione non guarda. La Commissione, scrive Sansonetti, «decide a chi assegnare e a chi no il diritto di parola. Come faceva una volta il Fascio». Chiede la Commissione a Sansonetti: perché ha scritto un editoriale dal titolo “La mafia si combatte con lo Stato di diritto e non con le forche”? Per la verità, Sansonetti lo ha scritto solo perché è un garantista, tant'è vero che il suo attuale giornale si chiama proprio Il Garantista. La Commissione gli fa notare che va tutto bene, però i dubbi sull'uso che talvolta i magistrati fanno dei pentiti sono dubbi inaccettabili e denotano una corrività con la mafia. “Corrività”, sostantivo femminile, deriva da correre. Significa avventatezza, faciloneria, permissività. Giornalisti italiani, il dubbio non è fatto per voi. Neanche le notizie. Neppure gli incontri con gli avvocati. Giornalisti italiani, inchinatevi alle Procure, altrimenti la Commissione d'inchiesta guidata dalla generalessa Bindi e sottoguidata dal contrammiraglio Fava vi convocherà e, parole di Sansonetti, vi sottoporrà ad «un'ora e mezza di accuse, insinuazioni, ordini di censura e intimidazioni». Sì, fermate questa Commissione. Anche perché non vorremmo che a breve scadenza ci convocasse per chiedere conto di questo articolo. E comunque, dottissimi parlamentari antimafia, se siete intenzionati a farlo, ricordatevi: chi scrive è nato in Campania. Date le logiche della Commissione, e dal momento che non conosce la Procura di Napoli, il sottoscritto può essere solo sospettato di corrività con la camorra. Mafia e 'ndrangheta mai. E speriamo bene. di Mattias Mainiero

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