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Pansa: Appello a Mattarella, non firmi l'Italicum e fermi Renzi

Giampaolo Pansa nella vignetta firmata da Benny

Lucia Esposito
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Nel vedere la lunga diretta televisiva sull'apertura dell'Expo 2015, e seguendo la guerriglia degli antagonisti che violentavano Milano, mi sono fatto una domanda. Come mai nella capitale lombarda non c'era anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella? Accanto al premier Renzi si vedevano fior di autorità. A cominciare da Giorgio Napolitano che, pur non essendo più un giovanotto, si era sobbarcato una fatica non da poco, insieme alla moglie. L'unico big a mancare era proprio il capo dello Stato.  Ho chiesto a qualche amico che sa molto dell'ambiente politico romano perché Mattarella fosse assente, in un'occasione così importante, seguita dai media di mezzo mondo. Non era stato invitato? Il protocollo non contemplava la presenza del primo fra gli italiani? Per quale altro motivo il buon Sergio risultava a Roma? Nessuno ha saputo spiegarmelo. Allora il Bestiario si è fatto una seconda domanda. È possibile che tra il presidente del Consiglio e il capo dello Stato sia sceso un po' di gelo a proposito dell'ultima impresa renzista? Si tratta del varo, non ancora avvenuto, dell'Italicum, la legge elettorale capestro che sta in cima ai desideri di un premier voglioso di diventare il padrone politico dell'Italia. Il Bestiario è una rubrica un tantino mattoide, ma non al punto di immaginare un retroscena da thriller come questo.  Per restare con i piedi per terra, l'unico fatto incontestabile è che Mattarella e Renzi non potrebbero essere tipi umani più diversi. Il capo dello Stato è un politico di lungo corso, cresciuto nella sinistra democristiana, quella di De Mita. Per anni ha dimostrato di essere un signore pacato, tenace, senza ansie da potere e meno che mai incline a sbandamenti faziosi. Tanti anni fa, un altro dicì mi aveva detto: «Nel lavoro di partito, Sergio è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade». L'essere anziani, insieme a tanti fastidi, presenta un vantaggio. È di aver incontrato leader politici che non avevano ancora esaurito il percorso previsto. A me capitò di intervistare a lungo Mattarella all'inizio del 1989, quando aveva 48 anni e un volto assai più giovane sotto i capelli già bianchi. Nel governo De Mita ricopriva l'incarico di ministro per i Rapporti con il Parlamento. E la prima domanda che gli rivolsi fu se l'immagine della goccia che cade, e poi ricade, e poi cade di nuovo senza smettere mai, si attagliasse al suo modo di muoversi all'interno della Casta dei partiti.  Mattarella mi scrutò con severità dolce, un tratto tra il paziente e il dolente che oggi molti italiani conoscono. Anche grazie al ritratto che un grande comico, Maurizio Crozza, fa di lui nel «Paese delle meraviglie» su La7. Mattarella non mi rispose subito, stava riflettendo sul modo giusto per replicarmi. Poi sorrise e mi spiegò: «Non so dirle se sono davvero così. Però Aldo Moro aveva già spiegato l'importanza dei piccoli passi. Lui elogiava il lavoro che sembra fatto di niente. Non dico che i piccoli passi, quelli che si vedono poco, siano i più importanti. Ma di certo lo sono quanto i grandi movimenti che suscitano clamore».  Quindi azzardò una profezia: «In pochissimi anni, i partiti italiani diventeranno dei corpi sempre più separati dalla società. E sempre meno qualificati. Nella periferia della Democrazia cristiana sta già accadendo. Il virus è molto esteso. E rischia di intaccare in modo irreparabile i piani alti del mio partito». Poi aggiunse: «Del resto, in tutto l'Occidente è in corso un processo che spinge i veri centri di decisione a trasferirsi fuori dalla politica. Esiste davvero il pericolo che i partiti diventino una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere, né palesi né responsabili. La politica, invece, deve essere un punto alto di mediazione nell'interesse generale. Se la politica non è in grado di fare questo, le istituzioni muoiono. E prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione, che è poi la stessa cosa». Sottolineo ancora la data di queste parole profetiche: fine gennaio 1989, ventisei anni fa. Quando le rileggo, provo un senso di vertigine. La Goccia che cade aveva previsto l'irrompere sulla scena di un leader alieno, pronto a considerare i partiti e i sindacati un arredo inutile della vita pubblica: Renzi, per l'appunto. Un diverso pronto a rottamarli, immagine spietata e allora sconosciuta. E qui ci troviamo alle prese con un enigma. Perché mai il Fiorentino ha scelto di mandare al Quirinale un personaggio tanto diverso da lui? E con una mossa autoritaria che lo ha portato a rompere il Patto del Nazareno stretto con un Berlusconi in agonia? A somiglianza della domanda sul perché il capo dello Stato non fosse presente alla nascita dell'Expo, anche in questo caso non trovo una risposta. Non mi resta che constatare il baratro di alterità che esiste fra Renzi e Mattarella. Il premier è uno spaccone che si ritiene il salvatore dell'Italia. Ama gli slogan mirabolanti: «Oggi comincia il domani dell'Italia» ha gridato dalla tribuna dell'Expo. Insulta di continuo chi non la pensa come lui. Dopo i gufi e i rosiconi, si è inventato i professionisti del «non ce la facciamo». Renzi sta incassando l'inchino di chi corre sempre in soccorso del vincitore. Cancella le competenze per raccattare plotoni di incompetenti senza esperienza, ma super fedeli. Svela l'orgasmo di sentirsi un uomo solo al comando. Ritiene gli oppositori dei poveri sfigati, e non pochi di questi gli cedono il passo senza muovere un dito o si trasferiscono nel suo campo, felici di servirlo. E di averne in cambio la garanzia di restare incollati ai loro seggi a Montecitorio. Prima o poi fonderà il maledetto Partito Renzista o della Nazione. Un accampamento di seguaci pronti a recitare la vuota giaculatoria di San Matteo: «Cambiare verso». Adesso il Grande Illusionista si trova di fronte alla battaglia campale del suo giovane regime: l'Italicum, la nuova legge elettorale che annullerà le opposizioni e segnerà l'inizio di un potere a suo uso e consumo. Le prime vittime, dopo il repulisti immotivato nelle grandi aziende pubbliche, saranno i media. A cominciare dalla Rai, destinata a diventare un feudo renziano che ci farà rimpiangere persino la vecchia lottizzazione tra i partiti. Renzi è convinto di portare alla vittoria la sua guerra lampo per l'Italicum. Ed è facile prevedere che nessuno lo fermerà. Forse si ritiene più forte di Adolf Hitler che con la Blitz Krieg si illudeva di arrivare in poche settimane a Mosca. Mangiandosi l'impero sovietico e fucilando un signore baffuto che si chiamava Stalin. Temo invece che Matteo il Conquistatore non troverà ostacoli. La sinistra è a pezzi, la destra è in agonia e ha un solo bomber, il Salvini leghista. Restano in campo appena i Cinquestelle, ma nessuno può sapere se Beppe Grillo avrà la forza di resistere all'ondata renzista.  C'è un solo potere in grado di fermare Renzi e bloccare la ghigliottina dell'Italicum. È il presidente della Repubblica. Che cosa pensa della nuova legge elettorale il saggio Mattarella? Non lo sappiamo. Ma sta a lui decidere se la democrazia italiana potrà sopravvivere. Per questo motivo, il Bestiario gli rivolge un appello: non firmi l'Italicum, signor Presidente. E si rammenti della goccia che cade, l'elogio più grande che possiamo dedicarle. Soprattutto in questa stagione oscura che ricorda il «Macbeth» di Shakespeare, con le streghe che urlano: «Bello è il brutto, e brutto è il bello. Voliamo nella nebbia e nell'aria sozza». di Giampaolo Pansa

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