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Dopo la sconfitta, la furia di Renzi. Matteo minaccia. Con la Boschi è gelo

Giovanni Ruggiero
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Quando ieri pomeriggio poco dopo le tre e mezza Matteo Renzi è entrato nell' aula di quel Senato che il giorno prima gli si era ribellato sulle unioni civili, ha avuto occhi, sorrisi e abbracci per una sola persona: Denis Verdini, che lo stava aspettando nel banco in prima fila a fianco dell' ingresso. Appena chiusa la replica nel dibattito in corso sul consiglio europeo Renzi scuro in volto se ne è subito uscito senza attendere il voto sulle mozioni. Ma ancora una volta si è fermato davanti ai primi banchi all' ingresso, fermato dal verdiniano Lucio Barani, quello che porta sempre un garofano rosso all' occhiello. Il cattivo umore ancora una volta è cambiato: sorrisi, battute e ammiccamenti proseguiti dietro le quinte. Ah, non ci fosse Denis con la sua truppa, la giornata più nera da quando Renzi è arrivato a palazzo Chigi sarebbe sembrata eterna. Brucia, e quanto brucia quella sconfitta che ora rischia di mandare all' aria la legge. Si vede tutta la delusione disegnata sul volto, e anche la rabbia. Nelle dichiarazioni pubbliche certo, tutta verso il Movimento 5 stelle. Ma il premier sa bene che non poteva poggiare sul nemico storico, e che anzi la storia dal 2013 ad oggi rendeva chiarissimo come gli accordi del Pd con i grillini siano quasi sempre naufragati. La rabbia quindi è verso altri. Anche qui plasticamente evidente nella giornata di ieri. Chi ha gestito l' iter della legge sulle unioni civili? Il capogruppo Pd, Luigi Zanda, naturalmente. E poi Monica Cirinnà, da cui prende il nome quella legge. E nel governo Maria Elena Boschi. Sarà stato un caso ma il ministro delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento ieri non sedeva - caso raro - a fianco di Renzi nei banchi del governo. Non ci sono stati conciliaboli, né sguardi di intesa. La Cirinnà evitata. Zanda ignorato. L' unica del Pd chiamata al banco del premier è stata Anna Finocchiaro, cui Renzi ha chiesto tutti i consigli possibili per venire fuori dall' impasse. Poi via tutti. E la rabbia del premier che trapelava anche nei confronti del gruppo dei senatori Pd. Filtravano minacce, indiscrezioni su un richiamo all' ordine senza se e senza ma che dovrebbe arrivare domenica. Ma quella di Renzi ieri non sembrava proprio la giornata giusta. Anche le rituali comunicazioni sul consiglio europeo che si apre oggi sono andate di traverso al premier. Eppure - ed è raro - il discorso all' aula del Senato non è stato solo zuppo di slogan ed enunciazioni di principio. Renzi ha detto parole dure sulla crisi delle banche, e ha pure annunciato una battaglia contro il resto d' Europa sulle nuove regole che si vorrebbero introdurre. «Oggi ci rendiamo conto che il vero tema delle banche in Europa è una questione enorme che riguarda la prima banca tedesca, oltre che la seconda banca tedesca», ha attaccato Renzi, aggiungendo: «Il dato di fatto è che, anziché preoccuparci dei titoli di Stato italiani o di altri Paesi che vengono acquistati dalle banche, bisogna avere la forza di dire che nella pancia delle banche, di molte realtà del credito europeo, c' è un eccesso di derivati, di titoli tossici». Poi l' annuncio: «Noi metteremo il veto su qualsiasi tentativo che vuole andare a dare un tetto alla presenza di titoli di Stato nel portafoglio delle banche». Il premier pensava di raccogliere applausi bipartisan. E invece gli è toccata la doccia gelata che gli ha riservato Mario Monti: «Temo», ha spiegato l' ex premier, «e glielo dico con il dispiacere di chi ha pensato che anche sul piano europeo il suo governo potesse dare un contributo significativo, che lei rischi di far fare dei passi indietro importanti sia allo spirito di comunità in Europa, sia al contratto su cui ogni comunità si basa. Questo secondo me sta facendo correre grossi rischi all' Italia e all' Europa. Lei ama l' Italia, ma la amiamo un po' anche noi. Non faccia al nostro Paese il torto di presentarlo come tradizionalmente e storicamente soggiogato all' Unione europea». E ha aggiunto che Bettino Craxi e Giulio Andreotti erano più statisti dell' attuale premier italiano. Renzi non ha affatto gradito, e ha replicato acido: «Segnalo al professor Monti ciò su cui non sono d' accordo con lui, cioè l' impianto e l' approccio che egli ha avuto nel giudicare l' Italia e gli italiani. Quando lei ha lasciato il governo, presidente Monti c' erano 475 decreti del suo governo che dovevano essere attuati; ne abbiamo attuati circa 345. E il deficit nel 2011 era al 3,9 per cento; nel 2012 era al 3 per cento; ed ora è, secondo noi, al 2,4 per cento e, secondo la Commissione, al 2,5 per cento. In ogni caso, è comunque il deficit più basso che mai un governo della Repubblica abbia avuto negli ultimi dieci anni. Quindi, sul tema del rispetto delle regole io non accetto lezioni, perché lo considero un valore». Franco Bechis @FrancoBechis

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