L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Nel commentare le elezioni che restituirono Palazzo Chigi a Berlusconi, nel 2008, ce ne uscimmo con una battuta: c'è il rischio che l'opposizione il PdL se la faccia in casa. A parer nostro i risultati erano infatti inequivocabili: con simili numeri non si poteva non accorgersi che la sinistra era moribonda e se non avesse tirato le cuoia avrebbe comunque dovuto duellare con Di Pietro per salvare la pelle. Le previsioni sono state puntualmente rispettate, sia per quel che riguarda il Pd sia sul fronte del Popolo della libertà. Della prima questione ci siamo già occupati e se qualcuno nutriva ancora dubbi sulla forza della segreteria Bersani ha avuto ieri elementi per fugarli. Il neo leader del Partito democratico sulle Regionali ha preso schiaffi da chiunque, alleati e aspiranti tali. L'unica cosa che non prende è una decisione che consenta di chiarire la linea del maggior gruppo d'opposizione. Ma non vogliamo infierire con Pier Luigi: a quello pensano già i suoi. Veniamo dunque al secondo punto, (...) (...) di cui da tempo non ci occupiamo. Il partito cofondato dal Cavaliere e da Fini ha tutte le carte in regola per fare ciò per cui è stato votato. Ha i numeri, ovvero un gruppo di deputati autosufficiente che potrebbe far passare qualsiasi legge, senza dover ricorrere ad appoggi esterni o soccorsi più o meno generosi. Ha un leader, un capo carismatico che sostiene un programma chiaro. E poi ha un discreto gruppo di ministri e soprattutto nessuna vera concorrenza a sinistra. Di più, probabilmente, non si potrebbe. Visto che i guai mancano, ci sono dunque le condizioni perché il governo faccia quel che deve fare. E invece nel centrodestra i problemi se li fabbricano in casa. Ha cominciato l'inquilino di Montecitorio, probabilmente immalinconito dal ruolo di Terza carica dello Stato, che dà il potere di comandare i camerieri ma non più i camerati. Colpito da un attacco di noia, Fini ha preso a predicare come il presidente della Repubblica: non so se per allenarsi al ruolo, sta di fatto che da mesi non manca di recitare il suo sermone paternalista e buono per tutte stagioni. La soluzione migliore probabilmente era ignorarlo, tanto le sue dichiarazioni erano destinate a non produrre nulla, perché poi sarebbe stata la maggioranza a decidere. E invece no: ci si è messi a criticarlo e a prenderlo sul serio, come se davvero quelle idee corressero il rischio di diventare legge. Risultato? Gli si è dato un ruolo. Anzi: gli si è trovato un mestiere. Non passa giorno che il presidente della Camera non esterni, facendo sentire la sua voce. Ormai ha preso gusto a fare il bastian contrario, sapendo che in questo modo gli viene garantita la visibilità che gli mancava quando comandava solo sui commessi. Probabilmente si diverte anche a fare la vittima, chiedendo dopo ogni attacco che i suoi si schierino a difesa. Intendiamoci: l'ex capo di An non ha tutte le colpe. Lui ci mette la voglia di contare, ma il resto lo aggiungono gli altri. Che senso ha tutti i giorni chiedergli di decidere con chi stare? Che Fini stia nel PdL è certo, così come è sicuro che ad andarsene non ci pensa nemmeno. Gianfranco lo sa bene: è meglio fare l'ospite in un partito vivo che il padrone in uno morto. Perché dunque dovrebbe lasciare il PdL per il Pd? Il presidente della Camera resterà dov'è fino a che gli converrà e stuzzicarlo servirà solo a attribuirgli un ruolo più importante di quello attuale. Pensateci: sono mesi che non si parla d'altro, di quel che fa e di ciò che farà. Se non fosse stuzzicato probabilmente ascolteremmo distratti le sue parole e ce le dimenticheremmo in fretta. Invece di lui si parla come alternativa al Cavaliere in caso di prematuro disarcionamento e pure come leader di una corrente di decine di onorevoli che si staccherebbe dal Popolo della Libertà. Ciò che era impossibile sulla carta della Camera, rischia di diventare possibile su quella dei quotidiani. A forza di attribuirgli un ruolo, si è insomma creato il leader di una nuova formazione. A chi gioverà? Non ne ho idea. Per ora so solo a chi non giova. A Berlusconi.