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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

francesca Belotti
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Eh no, caro Cavaliere: stavolta non ci stiamo! In questi anni l'abbiamo  sostenuta sempre, anche le rare volte che ci convinceva poco, perché  pensavamo che in fondo era necessario essere uniti sul disegno finale di ri fare l'Italia. Se qualche iniziativa pareva meno azzeccata di altre,  pazienza, non ce ne lamentavamo: l'importante era procedere nella  direzione giusta, verso la grande riforma del Paese, con il gran taglio  degli sprechi e l'ancor più grande riduzione delle tasse come obiettivi.  Era ed è il nostro sogno. Lei non può venire a dirci una mattina di  gennaio dell'anno Domini duemila e dieci che sulle imposte non calerà la  mannaia. L'aspettiamo almeno da 15 anni, da quando cioè lei scese in  campo promettendo una rivoluzione liberale, che poi era alle nostre  orecchie soprattutto una rivoluzione fiscale, contro uno stato rapace  succhia redditi, che si prende i soldi dei contribuenti e non li  restituisce né in servizi né in efficienza, ma li spreca. Le nostre  aspirazioni di libertà dall'oppressione tributaria furono represse  allorché la buttarono giù con un avviso di garanzia recapitatole a  Napoli per mano della Procura di Milano. (...)   (...) In quel caso non ci demmo per vinti e armandoci di pazienza,  ingoiammo il rospo, nel senso di Lamberto Dini, e aspettammo il Suo  ritorno, certi che Lei non avrebbe mollato e che prima o poi sarebbe  tornato, tenendo alto il vessillo delle libertà, soprattutto dalle gabelle. E così è stato, con la riconquista di Palazzo Chigi nel 2001.  La sfortuna ha voluto che il suo rientro sulla scena sia coinciso con il  peggior attacco terroristico che si sia mai visto al mondo e il  conseguente crollo dei mercati.    Accantonammo dunque in vista di periodi migliori il piano di tagli alle  tasse, contentandoci d'un assaggio che Lei ci concesse nel 2004: una  sforbiciatina all'aliquota più alta dell'Irpef che appena il tempo di  gradire ci fu subito tolta da Prodi. La delusione non ci diede comunque  per vinti e dunque gioimmo quando nel 2008 Lei si riprese il governo del  Paese, promettendo di proseguire nell'azione riformatrice, senza  rinunciare a limare le unghie alle mani rapaci che a ogni fine mese  rapinano le buste paga degli italiani.    Dal maggio di due anni fa attendiamo dunque fiduciosi, non senza    segnalare di tanto in tanto l'urgenza dell'intervento. La crisi  internazionale ha messo a dura prova i conti di ogni paese e sappiamo  che tagliare le imposte non è operazione che si possa fare senza  riflettere. Ci vuole tempo, ci siamo ripetuti: il Cavaliere e il suo  fido Tremonti sapranno trovare il momento più opportuno. Ci siamo poi  rallegrati l'altro ieri, al rientro delle vacanze e subito dopo la  Befana, per la sua intervista a Repubblica: pur rincrescendoci che Lei  avesse patteggiato l'informazione col foglio manettaro, avevamo esultato  alla notizia della prossima introduzione di due sole aliquote sui  redditi degli italiani. E' la volta buona, ci siamo detti, rimanendo in  fiduciosa attesa dei passi successivi. Che certo non avrebbero potuto  non essere accompagnati anche da un piano di riduzione delle spese  inutili e perciò avevamo tentato di dare il nostro contributo segnalando  alcune voci meritevoli di riflessione in vista dei tagli.    Ora invece ci dice che non se ne fa niente, perché non ci sono le  condizioni. Di sicuro Lei sa meglio di noi come stanno le cose dal  punto  di vista economico e può darsi che tra lunedì ed oggi siamo emersi fatti  nuovi. Ciò nonostante insistiamo. Negare la possibilità di una riduzione  delle imposte significa smentire gran parte dell'azione riformatrice del  centrodestra. La riduzione delle tasse, insieme con la revisione  dell'impianto fiscale, sono alla base della costituzione stessa del  Popolo della libertà. Un fisco che non rapina i contribuenti è il  simbolo di un'organizzazione statale snella, che rispetta e serve i  propri cittadini, non grava su di loro ma li aiuta. Possiamo rinunciare  ad altre promesse del centrodestra, ma non a questa, anche perché  riteniamo che il rilancio del Paese passi proprio da un nuovo sistema  fiscale. La dieta tributaria richiede obbligatoriamente che si mettano a  stecchetto anche tutte le spese che non servono, mandando in pensione  enti inutili e centri che sono utilissimi solo per regalareil patrimonio  dello Stato ai pochi “amici”. La cura dimagrante in campo fiscale  necessità ovviamente di innovazione, magari anche di no tax area per  rilanciare certe zone del Sud. Ecco perché la esortiamo. Si prenda  tempo, studi meglio la pratica, ma faccia in modo che entro la  legislatura si vari una revisione delle tasse. Sono oltre 1800 quelle  che gravano sugli italiani, come dimostra il nostro Franco Bechis  nell'articolo che pubblichiamo su questa stessa pagina. Se serve a non  distrarla dall'argomento, faccia pure un decreto che ponga fine a ogni  processo che rallenta l'azione di governo. lo appoggeremo senza esitare.    Ma la riforma fiscale no, quella non la può dimenticare.  

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