L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Eh no, caro Cavaliere: stavolta non ci stiamo! In questi anni l'abbiamo sostenuta sempre, anche le rare volte che ci convinceva poco, perché pensavamo che in fondo era necessario essere uniti sul disegno finale di ri fare l'Italia. Se qualche iniziativa pareva meno azzeccata di altre, pazienza, non ce ne lamentavamo: l'importante era procedere nella direzione giusta, verso la grande riforma del Paese, con il gran taglio degli sprechi e l'ancor più grande riduzione delle tasse come obiettivi. Era ed è il nostro sogno. Lei non può venire a dirci una mattina di gennaio dell'anno Domini duemila e dieci che sulle imposte non calerà la mannaia. L'aspettiamo almeno da 15 anni, da quando cioè lei scese in campo promettendo una rivoluzione liberale, che poi era alle nostre orecchie soprattutto una rivoluzione fiscale, contro uno stato rapace succhia redditi, che si prende i soldi dei contribuenti e non li restituisce né in servizi né in efficienza, ma li spreca. Le nostre aspirazioni di libertà dall'oppressione tributaria furono represse allorché la buttarono giù con un avviso di garanzia recapitatole a Napoli per mano della Procura di Milano. (...) (...) In quel caso non ci demmo per vinti e armandoci di pazienza, ingoiammo il rospo, nel senso di Lamberto Dini, e aspettammo il Suo ritorno, certi che Lei non avrebbe mollato e che prima o poi sarebbe tornato, tenendo alto il vessillo delle libertà, soprattutto dalle gabelle. E così è stato, con la riconquista di Palazzo Chigi nel 2001. La sfortuna ha voluto che il suo rientro sulla scena sia coinciso con il peggior attacco terroristico che si sia mai visto al mondo e il conseguente crollo dei mercati. Accantonammo dunque in vista di periodi migliori il piano di tagli alle tasse, contentandoci d'un assaggio che Lei ci concesse nel 2004: una sforbiciatina all'aliquota più alta dell'Irpef che appena il tempo di gradire ci fu subito tolta da Prodi. La delusione non ci diede comunque per vinti e dunque gioimmo quando nel 2008 Lei si riprese il governo del Paese, promettendo di proseguire nell'azione riformatrice, senza rinunciare a limare le unghie alle mani rapaci che a ogni fine mese rapinano le buste paga degli italiani. Dal maggio di due anni fa attendiamo dunque fiduciosi, non senza segnalare di tanto in tanto l'urgenza dell'intervento. La crisi internazionale ha messo a dura prova i conti di ogni paese e sappiamo che tagliare le imposte non è operazione che si possa fare senza riflettere. Ci vuole tempo, ci siamo ripetuti: il Cavaliere e il suo fido Tremonti sapranno trovare il momento più opportuno. Ci siamo poi rallegrati l'altro ieri, al rientro delle vacanze e subito dopo la Befana, per la sua intervista a Repubblica: pur rincrescendoci che Lei avesse patteggiato l'informazione col foglio manettaro, avevamo esultato alla notizia della prossima introduzione di due sole aliquote sui redditi degli italiani. E' la volta buona, ci siamo detti, rimanendo in fiduciosa attesa dei passi successivi. Che certo non avrebbero potuto non essere accompagnati anche da un piano di riduzione delle spese inutili e perciò avevamo tentato di dare il nostro contributo segnalando alcune voci meritevoli di riflessione in vista dei tagli. Ora invece ci dice che non se ne fa niente, perché non ci sono le condizioni. Di sicuro Lei sa meglio di noi come stanno le cose dal punto di vista economico e può darsi che tra lunedì ed oggi siamo emersi fatti nuovi. Ciò nonostante insistiamo. Negare la possibilità di una riduzione delle imposte significa smentire gran parte dell'azione riformatrice del centrodestra. La riduzione delle tasse, insieme con la revisione dell'impianto fiscale, sono alla base della costituzione stessa del Popolo della libertà. Un fisco che non rapina i contribuenti è il simbolo di un'organizzazione statale snella, che rispetta e serve i propri cittadini, non grava su di loro ma li aiuta. Possiamo rinunciare ad altre promesse del centrodestra, ma non a questa, anche perché riteniamo che il rilancio del Paese passi proprio da un nuovo sistema fiscale. La dieta tributaria richiede obbligatoriamente che si mettano a stecchetto anche tutte le spese che non servono, mandando in pensione enti inutili e centri che sono utilissimi solo per regalareil patrimonio dello Stato ai pochi “amici”. La cura dimagrante in campo fiscale necessità ovviamente di innovazione, magari anche di no tax area per rilanciare certe zone del Sud. Ecco perché la esortiamo. Si prenda tempo, studi meglio la pratica, ma faccia in modo che entro la legislatura si vari una revisione delle tasse. Sono oltre 1800 quelle che gravano sugli italiani, come dimostra il nostro Franco Bechis nell'articolo che pubblichiamo su questa stessa pagina. Se serve a non distrarla dall'argomento, faccia pure un decreto che ponga fine a ogni processo che rallenta l'azione di governo. lo appoggeremo senza esitare. Ma la riforma fiscale no, quella non la può dimenticare.