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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Albina Perri
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Che il centrodestra sia popolato da un certo numero di fessi non è una novità. Non a caso ieri Libero ha aperto la prima pagina con un titolo di testata irridente, in cui si rimarcava che, se il PdL rischia di perdere una sfida che appariva largamente vinta come quella nel Lazio, la responsabilità va in massima parte cercata fra gli organismi dirigenti del partito. Ciò detto, stupisce però il prurito legalistico che sta spingendo le corti d'appello di mezza Italia a eliminare molte liste in diverse regioni. Guarda caso si tratta quasi sempre di candidature di centrodestra e quasi mai di sinistra. Possibile che solo quelli del PdL siano tanto gonzi da sbagliare tutto, arrivare tardi, dimenticarsi le firme e perfino i timbri? Oppure c'è dell'altro, ovvero il tentativo di risolvere una sfida elettorale che per Pd e compagni si presenta difficile con l'espulsione degli avversari prima ancora che la partita abbia inizio? Noi non abbiamo elementi per rispondere: il nostro è solo un sospetto, ma come diceva Giulio Andreotti, il quale di sospetti e di intrighi ha una certa pratica,  a volte a pensar male ci si azzecca. Del resto appare evidente che i radicali, i quali anche nel Lazio pur avendo presentato una candidata di lungo corso non sono accreditati di nessuna possibilità di successo, mirano a sabotare queste elezioni, ricorrendo al rigoroso rispetto di ogni formalità nella raccolta delle firme. La nostra Elisa Calessi nelle pagine interne riferisce la ricerca minuziosa che gli esperti della Rosa nel pugno stanno svolgendo, esaminando al microscopio le liste avversarie al solo scopo di trovare un piccolo errore che ne consenta l'esclusione dalla competizione elettorale. Dicendo di voler solo far applicare rigorosamente la legge, in realtà gli eredi di Pannella stanno tentando un sabotaggio delle Regionali, anzi un vero esproprio del diritto di voto, perché molti elettori si ritroverebbero nell'impossibilità di scegliere il partito che li rappresenta. Di fatto si tratterebbe di elezioni truccate, dove si sa già chi vince, perché gli avversari sono stati eliminati. Naturalmente i radicali dicono che la loro è una battaglia contro l'illegalità e per il rispetto della democrazia. Ma che democrazia è quella in cui, come fossimo in Venezuela, è tutto già scritto e deciso prima ancora che si aprano le urne? Quei polli del PdL hanno dato un contributo decisivo per finire sul bancone della macelleria? Vero, ma in questo momento più della ricerca delle colpe ci preme la vittoria e più dei cavilli siamo interessati alla sostanza. Dunque è il caso che il governo ci ripensi e forse anche il Quirinale. Se non si vuole che questo voto sia ricordato come il peggiore della storia Repubblicana, degno solo di un Paese dell'Africa, si faccia un decreto che rimetta in gara gli esclusi. La situazione è d'emergenza, ma non c'è altra via per garantire il diritto della metà degli italiani a scegliere da chi far governare la loro Regione. L'urgenza richiede provvedimenti adeguati e se la sinistra non è d'accordo si capisce: l'eliminazione dei concorrenti è l'unico modo che ha per vincere. PS. Se l'esecutivo ci mette una pezza, è bene che una pezza, ma sulla bocca, se la mettano anche i fondatori e i cofondatori del Popolo della Libertà. Che senso ha, a meno di un mese dal voto,  dire, come ha fatto ieri Gianfranco Fini, che il PdL non gli piace? Se lui non gradisce, perché dovrebbero gradire gli elettori? Intendiamoci il presidente della Camera ha tutto il diritto di continuare la sua battaglia politica contro Berlusconi, ma non lo può fare a danno del partito che ha contribuito a fondare. Se proprio il PdL gli sta stretto e non vi si riconosce più, fondi un nuovo movimento e chieda agli elettori che ne pensano. Sarebbe più onesto e nessuno avrebbe nulla da ridire. Diversamente le sue critiche appaiono solo il gioco comodo di chi è molto ambizioso, ma poco coraggioso.

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