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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Eleonora Crisafulli
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Ieri il sindacato dei giornalisti ha manifestato di fronte al Senato, protestando contro la legge sulle intercettazioni. Come è noto il provvedimento in discussione a palazzo Madama mira a limitare l'uso delle captazioni telefoniche, vietando ai cronisti giudiziari di riportarne il contenuto, pena salatissime multe oltre che il carcere. Secondo la Federazione nazionale della stampa la misura è liberticida, perché colpirebbe «il diritto dei cittadini a sapere» e per questo l'organizzazione si oppone e minaccia sfracelli, compreso un ricorso alla Corte di giustizia europea al fine di far condannare il governo italiano. Personalmente non amo questo sindacato e da 25 anni non partecipo agli scioperi e alle proteste della categoria. Non solo perchè la Fnsi è a guida sinistra, ma anche perché butta sempre tutto in politica e anche quando è dalla parte della ragione riesce a passare da quella del torto. Ne è un esempio proprio la norma sulle intercettazioni. La Fnsi ha buone ragioni per lamentarsi, perché la legge scarica sui soli giornalisti le colpe di un sistema che non funziona, vietando ai cronisti la pubblicazione di ciò che apprendono, anche se le informazioni sono a disposizione non solo degli inquirenti ma pure di altre persone. Il sindacato ha ragione a protestare, dicendo che si imbavaglia la categoria e si agisce sull'anello debole di una catena: quando il provvedimento entrerà in vigore i giudiziaristi dovranno pesare le virgole ed è assai probabile che per non correre rischi si autocensurino, evitando di riferire ogni notizia inerente indagini in corso, anche quelle che non andrebbero incontro a sanzioni. Fin qui le ragioni: adesso veniamo ai torti. La Fnsi non può sostenere, come invece ha fatto il suo segretario Franco Siddi, che esista un diritto dei cittadini a sapere. Al massimo può dire che c'è un diritto a essere informati sui reati e sulle sentenze, il quale però non può essere esercitato per conoscere i fatti degli altri, soprattutto quelli penalmente irrilevanti, come spesso avviene con la pubblicazione delle intercettazioni. Certo, so bene che le conversazioni carpite al telefono o in altri ambienti sono gustose e solleticano la curiosità di chiunque, giornalisti e lettori compresi. Ma è altrettanto vero che l'uso delle captazioni telefoniche spesso si trasforma in abuso, con la pubblicazione dei brogliacci prima ancora che un giudice si sia pronunciato. Che relazione hanno gli sms di Anna Falchi al marito con le spericolate operazioni finanziarie di Stefano Ricucci? E quelli di Giovanni Consorte che si organizza dolci serate? E le frequentazioni di Balducci o quelle del figlio di Moggi che cosa c'entrano con le inchieste in corso? Eppure ognuno di noi ha potuto leggere sia le affettuosità fra amanti che le conversazioni tra coniugi. È diritto di cronaca questo? Davvero il sindacato ritiene di dover fare una battaglia per sostenere che ogni frase ascoltata debba essere stampata? Certo, tutti noi facciamo uso delle intercettazioni, perché sappiamo che pubblicandole si fa leva sul voyeurismo involontario dei lettori, ai quali non dispiace apprendere i sussurri segreti dei potenti e anche dei meno potenti. Ma è davvero giusto pubblicare sospiri, gemiti e misure anatomiche? La Fnsi, come ho scritto, ha ragione da vendere quando si oppone alle multe e al carcere: non possono essere i soli giornalisti a far da guardiani al diritto degli imputati di non essere processati a mezzo stampa per  ciò che hanno detto, soprattutto se le loro frasi non sono un reato. La responsabilità non è dei cronisti, ma di chi ha disposto l'intercettazione e poi la dà in pasto a tutti. Il sindacato dovrebbe essere il primo a pretendere che sia affidata ai magistrati la tutela delle persone sottoposte ad ascolto, affinché queste non siano «sputtanate» per fatti che non hanno inerenza col processo. Invece la Fnsi che fa? Difende il diritto a spiare dal buco della serratura, nascondendosi dietro esigenze di cronaca, ignorando che così non fa il proprio mestiere e neppure l'interesse dei suoi assistiti. Ma solo l'ufficio stampa delle Procure.

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