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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Per giustificare la guerra a Berlusconi, Gianfranco Fini ha rispolverato il suo passato giustizialista, messo in soffitta 15 anni fa per ragioni di convenienza, e lo ha sbattuto sul tavolo della maggioranza.  All'occorrenza è stata recuperata anche una lettera che il giovane segretario del Msi scrisse a Sandro Pertini e ad altri due padri della patria come Benigno Zaccagnini e Leo Valiani, nel 1988. In essa il futuro presidente della Camera proponeva addirittura una commissione d'inchiesta sugli illeciti arricchimenti della classe politica, sull'esempio di quella istituita il 27 luglio del 1944 per indagare chi tra i gerarchi si era riempito le tasche di soldi pubblici. Ripescata come uno scoop dal Corriere della Sera di ieri, in realtà la lettera è talmente nota da essere addirittura contenuta in un libro che fa le pulci al cofondatore, pubblicato da Kaos edizioni anni fa e riedito con qualche aggiornamento il giorno in cui Fini si accomodò sulla poltrona più alta di Montecitorio. Il libro, ad essere sinceri, contiene anche altri documenti  sul tema, per esempio una lettera di totale plauso a Borrelli oltre a innumerevoli sperticate lodi ad Antonio Di Pietro.  Certo, per avere un quadro completo del Fini-pensiero sulla questione morale ci vorrebbero anche i discorsi successivi, quelli, per intenderci, più recenti, in cui il leader di An attaccava la magistratura politicizzata e difendeva gli amici suoi, come ieri ha ricostruito il nostro Marco Gorra, citando ad esempio i commenti alle inchieste del pm Woodcock che coinvolgevano portaborse e portavoce del capo aennino.  Ma per capire il camaleontismo del presidente della Camera - di cui si è avuta conferma anche ieri, con l'intervista a Giuliano Ferrara - è utile la rilettura di un discorso in cui Fini parlava della Nuova Repubblica, un progetto missino voluto da Almirante e sostenuto dal cofondatore del PdL fino ai primi anni Novanta, periodo in cui, anziché difendere la Costituzione, la voleva buttare, spiegando che serviva «qualcosa di assolutamente originale, in grado di superare il “vizio d'origine” della Costituzione: la partecipazione delegata ai partiti, e, quindi, la partitocrazia». Altro che partiti più democratici, fosse stato per lui li avrebbe aboliti per ricreare l'Italia delle corporazioni. Perché, per il futuro numero uno di Montecitorio,  la Carta che oggi cita con tanta frequenza  ergendosene a difensore, all'epoca la considerava roba vecchia.  «Questi partiti (Dc e Pds) non vogliono prendere atto che la Costituzione nata dalla resistenza è fallita».  L'abilità dialettica di riciclare le parole è sempre stata, del resto, la sua forza.  Lui che non esitò nel 1993 a bollare gli altri di  «trasformismo disgustoso», è stato un campione di giravolte, e pur di rendersi accettabile agli occhi della sinistra, si è rimangiato ad una ad una le proposte sulla pena di morte, contro la ibrida società meticcia, sull'immigrazione e sul Duce. Inutile naturalmente chiedergli conto delle contraddizioni: risponderebbe con un silenzio carico di disprezzo. Che è lo stesso usato ieri, quando è venuta a galla la strana storia della casa di Montecarlo, donata da una anziana elettrice del Msi e finita, a quanto pare, nelle disponibilità del cognato del presidente della Camera. Con tanto di regolare contratto d'affitto, hanno spiegato ieri i legali del parente di Fini, già noto per aver recentemente ottenuto alcuni contratti in Rai.  Le cose saranno senza dubbio regolari, come dicono gli avvocati. Ma visto che c'è di mezzo un'eredità e il patrimonio lasciato a un importante partito, forse sarebbe meglio precisare a quanto ammonta il canone, spiegando perché tra le tante possibili offerte di locazione che si potevano ottenere, in quanto si tratta di un appartamento nel centro di Montecarlo, si è scelta quella del signor Tulliani. A una persona come il presidente della Camera, che della questione morale intende fare una bandiera, il silenzio non si addice. Chi reclama per gli altri la trasparenza, farebbe bene ad applicarla prima a se stesso. Così, tanto per fugare i dubbi...

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