L'Editoriale
di Maurizio Belpietro
A toccare Roberto Saviano c'è il rischio di essere accusati di vilipendio al martire. L'autore di Gomorra è ormai diventato un'icona della battaglia contro il Male e come un moderno San Giorgio in lotta con il Drago della camorra, della mafia e, più recentemente, della politica è oggetto di venerazione. L'aria fragile e un po' ieratica, a prescindere da ciò che scrive o dice, ha fatto di questo ragazzo un simbolo. E come tale Saviano riesce a rendere simboliche tutte le cause da lui sposate. Per cui vi debbo confidare che compatisco il direttore generale della Rai, il quale si trova tra le mani la patata bollente del programma televisivo. Come si fa a criticare, o anche solo a discutere, il lavoro di un eroe della guerra a ogni criminalità? Come si può pensare che le giustificazioni addotte per rivedere l'operato - i costi, gli ospiti, il taglio degli argomenti - possano avere la benché minima presa su un'opinione pubblica che adora lo scrittore napoletano? Quella di Mauro Masi è una battaglia suicida e per questo la determinazione con cui il numero uno di viale Mazzini si avvia allo scontro suscita in me compassione. Comunque vada per lui finirà male: se fermerà Saviano e il suo programma, al pari di un profanatore di reliquie sarà ricoperto da ogni genere di contumelia; se al contrario farà finta di niente, l'onda d'urto che si propagherà dopo la messa in onda delle puntate lo proietterà a chilometri di distanza dal cavallo morente di Francesco Messina, scultura che ben rappresenta la situazione della tv di Stato. Come, in pochi anni, si sia sviluppato un culto devozionale che di fatto rende Saviano intoccabile perfino da un grand commis di Stato come Masi è un mistero. Come sia stato possibile che un ventenne, curioso e timido, cresciuto nell'ambiente delle palestre frequentate dai ragazzi del Fronte della gioventù, sia diventato l'emblema della sinistra è un mistero ancor più impenetrabile del precedente. Sta di fatto che oggi la stampa e gli intellettuali progressisti hanno adottato lo scrittore e lui, autore di un successo internazionale da far paura (più che agli invidiosi allo stesso Saviano, ossessionato dall'idea di non riuscire a replicare il trionfo), è stato ben lieto di farsi adottare. Così il giovane, cultore delle armi al punto da tenersi una pistola alla cintola da cui scappò un colpo che lo prese di striscio, oggi per un'opposizione allo sbando rappresenta la sola speranza di scacciare il Drago Berlusconi. Ezio Mauro, il quale sogna di passare alla storia come il direttore che liquiderà il Cavaliere, quando parlava di un papa straniero che rilanciasse la sinistra pensava a Saviano. Immagino che non lo ammetterà facilmente, ma il gran capo di Repubblica, per la guida di ciò che resta della sinistra, non guarda a Bersani, Vendola o anche solo a Fini. Per lui sono ferri vecchi, arnesi da Prima Repubblica, la cui capacità di fascinazione sull'elettorato è pari a zero. Mauro cerca un simbolo, un uomo giovane capace di incarnare l'idea di quella rivolta che il suo giornale ogni giorno sollecita. Che importa se Saviano non sa nulla di politica e di cosa voglia dire guidare una banda rissosa come quella dell'opposizione? Si tratta di dettagli che si possono risolvere con qualche gregario cui affidare il lavoro sporco di mettere d'accordo i partiti. Ciò che conta è avere la figura che riempie le piazze, il messia che annuncia la lieta novella della liberazione dell'Italia. Mauro pensa a una specie di Obama in salsa italiana. Un predicatore capace di trascinare il consenso, indirizzandolo contro il Cavaliere. La faccenda di Saviano è dunque qualcosa che va al di là di un programma della tv pubblica i cui conti non tornano perché costa 2 milioni e 800 mila euro, solo un quarto dei quali pagati dalla pubblicità. La questione è che le puntate saranno un atto d'accusa contro Berlusconi e il suo sistema, fatto non da Di Pietro, Santoro o Travaglio, che ormai replicano ogni giorno se stessi, ma dall'emblema del riscatto morale, dall'uomo che impersona l'indignazione intellettuale contro ogni genere di mafia. Sotto l'occhio compiaciuto di Fabio Fazio, Dario Fo, Roberto Benigni e Ilda Boccassini si farà una sorta di prova generale dell'effetto che potrebbe avere lo scrittore se provasse a sparare contro il Cavaliere dall'alto del suo martirio. Le quattro puntate saranno la sintesi di tutto il peggio che è stato detto contro il premier, un florilegio in prima serata firmato da uno scrittore di fama internazionale e non da Paolo Flores D'Arcais. Riuscirà l'ennesima operazione escogitata per far fuori Berlusconi? Non so. So soltanto che l'Italia non è quella grande Gomorra che qualcuno si ostina a descrivere sui giornali, sperando che prima o poi gli italiani ci credano.