L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Oggi, a Milano, Gianfranco Fini riunisce la sua truppa per il primo congresso di Futuro e Libertà. Mesi fa, quando progettò l'adunata, il presidente della Camera era gonfio di presunzione quanto la rana della favola di Fedro, per cui diede ordine di organizzare l'appuntamento senza risparmio di mezzi. L'evento fu fissato non a caso nella città del suo più acerrimo nemico e per l'occasione fu ingaggiato il cuoco dei radical chic Vissani, mentre le scenografie furono affidate a un emulo di Panseca, l'architetto mito che arredò tutte le convention di Craxi. Nelle intenzioni dell'ex delfino di Almirante, quello sarebbe stato il palco che lo avrebbe consacrato leader di un nuovo centrodestra, certificando la rottamazione di quello vecchio guidato da Berlusconi, il quale secondo il piano avrebbe dovuto ritirarsi su un'isola sperduta dei Caraibi a godersi le fortune, ammesso che gliele lasciassero. Avendo però sbagliato le previsioni, Fini nel week end si appresta a mettere in scena il suo fallimento, perché anziché sancire l'uscita di scena del Cavaliere, il congresso testimonia la debolezza del progetto nato a Mirabello ma mai uscito dall'incubatrice. Quello che doveva essere un punto di riferimento per la maggioranza degli italiani, in realtà è ridotto a un puntino, mentre l'uomo che faceva sognare la sinistra nella speranza liquidasse Berlusconi, ora è lui stesso a rischiare la liquidazione. Delle mirabolanti proiezioni di crescita che i sondaggisti accreditavano al suo partito non resta più nulla. Dal quattordici dicembre, fallito l'agguato organizzato contro il governo, Fli ha cominciato a perdere pezzi e soprattutto voti. L'emorragia non si è fermata neanche con le nuove accuse a Berlusconi da parte della Procura di Milano, segno evidente che il flusso non è facilmente arginabile. Uno che se ne intende come Nicola Piepoli al partitino del presidente della Camera dà appena il 3 per cento, aggiungendo però che la tendenza è al ribasso e appare inarrestabile. Di questo passo, se si andasse a votare, Fini e i suoi uomini non riuscirebbero a conquistare neppure uno strapuntino in Parlamento. Futuro e libertà rischierebbe dunque la fine di Rifondazione e del suo leader, il quale - stranezza del caso - dopo aver fatto il presidente di Montecitorio non ha potuto rientravi neanche dall'uscio di servizio. Per limitare i danni, finora l'ex cofondatore del PdL si è appiccicato ai calzoni di Casini, nella speranza che l'unione faccia la forza, ma correndo dietro al capo dell'Udc c'è pericolo che Gianfranco si ritrovi solo. L'idea di morire democristiani non piace affatto a molti camerati che hanno seguito il loro duce nell'avventura convinti di rifondare un nuovo Msi. Ma non va giù neppure a quelli che non sono mai stati fascisti e dell'inquilino della Camera apprezzavano le aperture laiciste sulla fecondazione e le coppie gay. Di fedelissimi insomma ne restano pochi, ma anche tra i pochi c'è chi ha il mal di pancia e medita di marcar visita. Come se non bastasse si sono messi a puntare i piedi pure gli intellettuali che fino ad oggi gli scrivevano i discorsi e soprattutto gli passavano le idee. Gli ideologi, da Alessandro Campi a Sofia Ventura, non sanno più che dirgli, perché ora più che di destra Gianfranco sembra uno della sinistra dc, anzi, qualche volta solo sinistra senza neppure l'attenuante democristiana. Addirittura sono arrivati al punto da chiedere (loro e non Berlusconi) le sue dimissioni, ritenendo che il ruolo di arbitro non si addica a uno che è sceso in campo come giocatore. Risultato? In pochi mesi Fini ha fatto il miracolo: si è autoaffondato e da leader di riserva del centrodestra adesso può solo finire nella riserva dei leader protetti perché in via d'estinzione. A pensarci bene, quello che comincia oggi più che il congresso fondativo di un partito, somiglia al congresso affondativo. Buon divertimento.