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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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I politici in genere non amano le interviste, soprattutto in tv. Le domande le vivono con fastidio e, non ci fossero, sarebbero ben lieti di poter parlare senza interruzioni con un unico lungo monologo. Purtroppo, non potendo produrre una norma che elimini il ruolo degli intervistatori, destra e sinistra si  rassegnano a sopportare l'ingombrante presenza dei giornalisti, i quali però devono porgere quesiti in modo lieve, senza obiettare alcunché alle risposte dell'onorevole, anche alle più incongrue, e possibilmente annuendo ad ogni frase pronunciata dall'interlocutore. Chi non si adegua alla regola - la sola che  mette d'accordo l'intero arco costituzionale - rischia di essere ripreso in malo modo e financo insultato. Capita sempre più spesso se si ha l'occasione di intervistare i finiani, i quali nei confronti dei giornalisti di Libero e del Giornale usano ormai il manganello, in attesa di passare direttamente all'olio di ricino e al confino. Gli ex esponenti della destra missina riciclati sotto le insegne di un partito che promette futuro e libertà, proprio non sopportano di vedersi rivolte domande scomode e - richiesti di chiarimenti sulla casa di Montecarlo, sugli appalti Rai alla suocera del loro leader o anche solo sulle mille giravolte dell'ex presidente della Camera -  reagiscono attaccando a testa bassa, accusandolo il cronista di essere un servo sotto padrone. La tecnica è ormai rodata e applicata dai vari Bocchino, Della Vedova e Granata. Appena il giornalista apre bocca si cerca di richiudergliela ricordando che lavora per il Giornale, per Mediaset oppure per la Mondadori. Come se la domanda posta, nel caso si sia alle dipendenze di una società del gruppo Berlusconi, non abbia diritto di ottenere una risposta rispetto a un'altra pronunciata da un collega stipendiato da De Benedetti o dalla Fiat.  «Tu sei pagato dal Cavaliere» è l'accusa scagliata contro l'impertinente che si permette di elevare un quesito o un dubbio, come se a ricevere uno stipendio da Berlusconi non ci fossero anche Eugenio Scalfari, Roberto Saviano, Corrado Augias, Alberto Asor Rosa e il meglio dell'anti-berlusconismo militante. Se chi è pagato da un'azienda del premier non ha dignità per porre domande, devono dunque tacere anche i soloni di Repubblica? Oppure si ha diritto di parola solo se si incassano i soldi di Silvio e poi “coraggiosamente” lo si attacca? Chi diventa ricco con i diritti versati dalle sue aziende e poi lo critica dev'essere considerato un eroe, gli altri che pregiudizialmente non gli sono contro invece solo servi?   Il trattamento è stato riservato dallo stesso Fini anche a Bruno Vespa, reo di essersi permesso durante un Porta a porta qualche domandina non scontata. Il presidente della Camera ha reagito accusando il conduttore di essere parziale e, peggio, di frequentare Berlusconi alludendo alla collaborazione con Panorama e ai libri editi per Mondadori. In verità tutti i giornalisti sono parziali, ognuno ha le proprie idee politiche e nessuno fa nulla per nasconderle. Non Giovanni Floris né Michele Santoro, Sandro Ruotolo o Lucia Annunziata. Eppure non risulta che Fini li abbia mai accusati di parzialità né che si sia sottratto alle loro domande accusandoli di frequentare D'Alema, Prodi o Di Pietro. Perché Floris, Santoro, Ruotolo e l'Annunziata si sono limitati a fare al presidente della Camera richieste che non lo mettessero in difficoltà e, assecondando le proprie passioni, gli hanno lasciato dire tutto ciò che voleva, in particolare contro Berlusconi.  Per questo sono meno servi di Vespa? O forse loro non lo sono affatto e chi invece si azzarda a ricordare le molte contraddizioni nella storia del leader di Fli è un venduto o un killer a pagamento? A qualcuno la questione parrà irrilevante o riguardante solo chi lavora per Libero, il Giornale e Mediaset. Ma così non è.  In nessun altro Paese sarebbe consentito a un leader politico che ha accettato il confronto di un'intervista pubblica di reagire in tal modo alle domande di un giornalista. Un parlamentare che evitasse di rispondere ai quesiti scomodi attaccando il cronista e cercando di delegittimarlo riceverebbe non solo la riprovazione dell'opinione pubblica, ma anche la condanna delle varie organizzazioni di categoria. Da noi, al contrario, l'associazione invece di parteggiare per il collega dà manforte all'aggressore. Salvo poi accusare il governo di voler imbavagliare e intimidire i giornali per una semplice querela. Purtroppo è la stampa, bellezza. Una stampa che si preoccupa della propria libertà a giorni alterni, solo quando può usarla contro Berlusconi. In quelli dispari, se i giornali non attaccano il Cavaliere, la libertà è meglio metterla a tacere. Rimorde troppo la coscienza.

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