L'editoriale
di Vittorio Feltri
Ormai siamo abituati. Leggiamo una notizia e il giorno dopo, puntuale come le cambiali di un tempo, arriva la smentita o mezza smentita. Sorge un dubbio: che i politici si pentano di aver detto una cosa dopo averne constatato gli effetti pubblici. Di conseguenza, per salvare la faccia e non ammettere di aver fatto una topica, accusano i giornalisti di aver frainteso le loro dichiarazioni. La premessa era d'obbligo. Perché mercoledì si è appreso dalla stampa straniera che Silvio Berlusconi avrebbe confidato a un cronista inglese di essere intenzionato a non ricandidarsi (quale premier) alle prossime elezioni politiche; e ieri, giovedì, il Cavaliere si è affrettato a dire che ciò non è vero. Tra l'altro Berlusconi, secondo la fonte britannica, non si era limitato a annunciare il suo prossimo ritiro; avrebbe altresì aggiunto di aver designato il proprio successore: Angelino Alfano. Sicché l'indiscrezione aveva tutti i crismi della credibilità; per cui molti se l'erano bevuta, e adesso non sanno più se il leader del centrodestra abbia mentito quando ha affermato di voler lasciare o quando ha smentito di voler lasciare. Comprendiamo il loro imbarazzo. Ma noi che conosciamo l'uomo per averne seguito e raccontato le gesta anni e anni, siamo certi che il premier abbia detto di aspirare a cedere il posto al fido Alfano, ma senza pensarlo. Lui è fatto così. Quando ha in mente un progetto serio, lo realizza di punto in bianco senza parlarne con nessuno. Basti ricordare il famoso discorso dal predellino in San Babila, a Milano: non disse che meditava di fondare il Pdl in luogo di Forza Italia, ma che aveva fondato il Pdl cui potevano aggregarsi An, l'Udc eccetera. Quando viceversa non gli passa neanche per la testa di compiere un'azione, allora la dà per imminente, salvo correggere il tiro il dì appresso. Ecco perché se qualcuno sospettasse che il ciclo berlusconiano sia sul punto di concludersi, sbaglierebbe della grossa. È l'esatto contrario. Lui non mollerà se non per cause di forza maggiore. E se fra due anni o prima si dovesse andare alle urne, tranquilli: il capintesta sarebbe ancora Berlusconi, magari con un acciacco in più ed alcune ragazze in meno, ma fortemente convinto di spuntarla un'altra volta, e sarebbe la quarta. D'altronde, immaginare che il berlusconismo sia in grado di sopravvivere a Berlusconi è da allocchi. Il Pdl non è un partito tradizionale. Non è neppure un partito. È un gruppo di persone impegnate a interpretare (male) le intuizioni del Principe nella speranza di non deluderlo e di ricevere un premio sotto forma di cariche e onori. Insomma il berlusconismo è uno stato d'animo, non una macchina politica. E reggerà finché il Principe sarà attivo, poi o si squaglierà o si trasformerà in qualcos'altro. Abbiamo piuttosto un timore che deriva dall'esperienza. Il fascismo durò vent'anni, poi l'Italia si beccò oltre sessant'anni di antifascismo, una barba infinita. Siccome il berlusconismo si avvia a compiere il diciottesimo compleanno, non vorremmo che fra un biennio cessasse di esistere inaugurando un sessantennio di antiberlusconismo. Una iattura da scongiurare. Perciò: lunga vita al premier. Abbiamo sopportato e sopportiamo il berlusconismo, ci sia risparmiata l'onta di morire antiberlusconiani.