In un momento in cui la cultura coreana sta contaminando il mondo - soprattutto i giovani - e la Corea del Sud viene raccontata (e venduta) attraverso i riflessi digitali delle sue metropoli, tra idol, start-up e drammi iperconnessi, la scrittrice Bae Myeongeun compie un gesto narrativo controcorrente: ci porta in un villaggio immaginario, isolato, che profuma di terra e di erbe medicinali, popolato da anziani, spiriti e silenzi più eloquenti di mille dialoghi. Uhwa, il paese al centro del suo romanzo La misteriosa clinica di medicina orientale (Salani), non esiste sulle mappe, ma somiglia a molti luoghi che la Corea urbana preferisce dimenticare. Eppure è da qui che passa il cuore pulsante – ferito – della nazione.
Bae Myeongeun non è una debuttante. Ha già scritto racconti horror che le hanno valso premi e adattamenti cinematografici. E ha lavorato, davvero, come assistente in una clinica di medicina tradizionale. Questa esperienza ritorna con forza in La misteriosa clinica, romanzo che ha l'apparenza della commedia surreale, ma la densità simbolica di una riflessione culturale profonda.
A colpire, prima di tutto, è lo sguardo. Con una scrittura asciutta e ironica, Bae racconta la provincia non come luogo idilliaco, ma come comunità in cui l’invisibile continua ad avere un ruolo – i fantasmi, nel romanzo, esistono davvero – e in cui la guarigione, per essere autentica, deve passare anche dalla memoria. E dai conti in sospeso.
Seungbeom, il protagonista, è un medico giovane e arrogante, espulso da Seoul a causa di una tangente. È la maschera tragica del fallito meritocratico, vittima (e complice) di un sistema corrotto. Nel villaggio di Uhwa apre una clinica di medicina orientale con l’obiettivo di arricchirsi, ma trova un contesto che sfugge a ogni logica da curriculum: anziani che si fidano delle erbe di Sujeong, l’erborista del paese; fantasmi affamati che pretendono di essere ascoltati; e una comunità dove il potere non è quello del denaro, ma della reputazione. Bae Myeongeun smaschera con leggerezza il feticismo del successo. E lo fa servendosi del corpo – stanco, afflitto, vulnerabile – come terreno di scontro tra modernità e tradizione. La medicina, qui, non è scienza, è gesto. È attenzione. È memoria condivisa. È ascolto.
Ma il cuore del romanzo è nei fantasmi. Apparizioni tragicomiche, mai davvero minacciose, che incarnano rimorsi, traumi e desideri incompresi. Come Gongsil, l’anima di un’amica morta che diventa figura guida e provocatrice. O come la giovane donna senza occhi, che si aggira nella clinica come uno specchio delle colpe altrui. Ogni spettro è un'eco di una storia interrotta, di un dolore non risolto. In questo, la scrittura di Bae si fa quasi sciamanica: la clinica diventa un luogo rituale, dove ciò che non è stato compreso nel mondo dei vivi chiede, ostinatamente, di essere narrato. È qui che il romanzo rivela la sua cifra politica più sottile. Perché se la società coreana contemporanea è segnata da un feroce individualismo, dalla competizione scolastica ai suicidi giovanili, Bae Myeongeun ci ricorda che guarire non è un processo solitario. Che i fantasmi non spariscono finché non li guardiamo negli occhi. E che il “noi” – fatto di relazioni, pazienza e piccole cure quotidiane – può ancora resistere alla logica del profitto.
Il tono del romanzo è spesso comico, ma mai superficiale. Come in certe pellicole di Bong Joon-ho, la satira sfocia nel dramma, la parodia nell’empatia. I personaggi – dalla stoica Jeongmi, infermiera devota e invisibile, al grottesco ma tenero signor Jang con l’urna della moglie – sono archetipi vividi, veri, riconoscibili. È questa forse la forza più autentica di La misteriosa clinica di medicina orientale: la sua capacità di raccontare una Corea invisibile – geografica e psichica – senza retorica, senza pietismo, ma con un’empatia lucida e dolente. Una Corea che somiglia, per molti versi, anche a noi.
Come certi odori nelle stanze di provincia, il romanzo di Bae non se ne va facilmente. Resta negli angoli della coscienza, nel ricordo di un dialogo, nel dettaglio di un’ernia curata con l’agopuntura, nella rivelazione che sì, forse, tutti abbiamo un fantasma da portare con noi. E che il vero atto rivoluzionario, oggi, potrebbe essere proprio questo: fermarsi, sedersi, e ascoltare.
Bae Myeongeun, La misteriosa clinica di medicina orientale (Salani)