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Carlo Calenda "forza e onore"? Dai Parioli al Colosseo ne passa, eccome se ne passa...

Gianluca Veneziani
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«Mi chiamo Carlo Decimo Calenda, comandante delle truppe liberali, generale delle legioni di Azione, servo leale dell'unico vero imperatore, Mario Draghi. Già membro dem pentito, alleato del Pd tradito, avrò la mia vendetta, in questa elezione o nell'altra».

Ha parlato più o meno così, da Gladiatore, il leader di Azione Calenda, dopo la fuga dalla grande ammucchiata nell'arena del centrosinistra (hic sunt leones... et tigrem Lettam). In uno dei suoi tweet ha citato un motto del celebre film con Russell Crowe, «Forza e onore», frase pronunciata da Massimo Decimo Meridio quando passa in rassegna le truppe. E ancora, dalla Annunziata, ha spiegato così l'addio all'alleanza: «Non c'erano dentro coraggio, bellezza, serietà e onore».

L'uso del termine «onore», caro alla destra, pare un goffo tentativo di Calenda (per cinque giorni di sinistra) di pescare voti anche in quell'altro bacino. Ma «onore» ha una storia onorevole che non può essere ridotta alle miserie politiche di un onorevole: risale al concetto greco di aretè, e poi attinge all'idea di meritocrazia, al cursus honorum romano, per arrivare all'Onore di tradizione missina. Non può essere banalizzato e frainteso così, come capitò al termine gemello di Onore, l'Onestà profanata dai grillini.
E poi dai, Carlè, per paragonarsi al Gladiatore ci vuole le physique du rôle. Non basta chiamare il proprio partito Azione per risultare uomini di azione, di sostanza, oltre che de panza. Dai Parioli agli scontri gladiatori in Colosseo ne passa, eccome se ne passa...

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