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Nobel, Angus Deaton e il calcolo del prezzo della felicità: ecco quanto dovremmo guadagnare al mese

di Giovanni Ruggiero domenica 18 ottobre 2015

3' di lettura

Troppi soldi, si sa, non fanno la felicità. Ma la povertà nemmeno. Nel 2010 l' economista Angus Deaton, scozzese trapiantato all' americana Princeton University, avvalorò questa pillola di comune buon senso con un accurato esame microeconomico: un migliaio di americani per due anni si sottopose a un sondaggio quotidiano segue dalla prima fondato sulle aspettative di reddito e la felicità. Al termine dell' esame Deaton, assieme al collega Daniel Kahneman, il padre della finanza comportamentale, individuò la soglia della felicità in 75 mila dollari annui: sotto quella cifra gli individui erano alle prese con la difficoltà di far quadrare i bilanci familiari. Ma, una volta varcata la soglia, diminuiva progressivamente la felicità dei soggetti. Nasce così il «paradosso di Deaton»: oltre una certa soglia di reddito l' attitudine al consumo non cambia. Non è cero solo questa la ragione che ha spinto l' Accademia delle Scienze di Stoccolma a tributare ieri a Deaton il premio Nobel per l' Economia che, tra l' altro, gli frutterà 860 mila euro (speriamo non gli provochino un attacco di infelicità). Ma è un buon esempio del metodo e dei risultati raggiunti dallo studioso, 69 anni, con un formidabile lavoro di ricerca sul campo concentrato la sua analisi su tre aspetti: come i consumatori distribuiscono la loro spesa su prodotti diversi, quanto di ciò che si guadagna viene speso e quanto risparmiato, qual è il modo migliore, infine, per valutare e analizzare il benessere e la povertà. Un lavoro di fino, condotto con l' obiettivo di individuare un modello di domanda «quasi ideale» per i consumi. Deaton si è spinto così a misurare «il rapporto tra il reddito e le calorie consumate» o le dimensioni della discriminazione sessuale nelle famiglie. La ragione di questi sforzi? Solo una volta capite le ragioni delle scelte individuali di consumo, sarà possibile elaborare una politica adeguata per lottare contro la povertà. Nel suo libro La grande fuga Deaton affronta il tema della povertà e dei limiti delle varie strategie per combatterla. Lo studioso, che non appartiene al partito dei catastrofisti («Le cose stanno migliorando», sottolinea in più passaggi), avanza alcune proposte: le aziende farmaceutiche dovrebbero essere incentivate in vari modi a concentrare gli sforzi su malattie dei Paesi poveri, come la malaria. E sarebbe necessario un grande piano per finanziare gli studi in Europa e negli Stati Uniti dei giovani dei Paesi emergenti. In sintesi, basta con le politiche di assistenza che servono solo a calmare la coscienza dei Paesi più ricchi. Deaton non trascura il tema dell' ineguaglianza all' interno delle società ricche. Ma, a differenza di quel che sostiene Thomas Piketty, lo studioso scozzese è convinto che, così come è accaduto negli ultimi decenni, il progresso tecnico e il miglioramento delle economie permetteranno di affrontare e risolvere il problema. Insomma, Stoccolma ha voluto premiare uno scienziato pratico, rigoroso e non ideologico, che da sempre si occupa del problema della povertà. A partire dall' atteggiamento degli individui verso i consumi. Una ricerca "laica", condotta senza pregiudizi ideologici o la presunzione di imporre regole dall' esterno, ma frutto di un approccio rispettoso degli individui. Il che, in tempi di migrazioni bibliche, può servire ad affrontare l' emergenza con più metodo e meno paure. «Più di chiunque altro», recita la motivazione del Nobel, «Deaton ci aiuta a capire: legando scelte individuali e risultati collettivi, la sua ricerca ha allargato gli orizzonti della microeconomia, della macroeconomia e dell' economia dello sviluppo». Una ricetta che non produrrà miracoli, ma che sembra andare nella giusta direzione. O almeno così si spera. Ugo Bertone

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