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Lo sconto Irpef vale 4,2 miliardi di tasse ma è mangiato dai 2 miliardi che lo Stato incasserà

Il Prof non abbasserà un punto di imposta per ridurre il cuneo: l'Iva al 10% non cambierà, ma l'aliquota più alta salirà al 22%
di Lucia Esposito domenica 4 novembre 2012

4' di lettura

  di Fosca Bincher Se di clamoroso regalo si fosse trattato, la soluzione sarebbe stata semplice. Bastava un «no, grazie», farsi dare i soldi accantonati per il dono e spenderli in maniera più utile per tutti. Purtroppo la favoletta del governo  che abbassava le tasse è apparsa proprio tale a chi in Parlamento ha dovuto fare i primi conti con la legge di stabilità per il 2013. I due relatori, Renato Brunetta (Pdl) e Pier Paolo Baretta (Pd), hanno provato ad escogitare tutte le soluzioni possibili per evitare che quell’annunciato regalo si trasformasse in una nuova bastonata sugli esausti contribuenti italiani. Qualche trovata ieri è uscita dal classico cilindro, e la manovra si addolcirà un po’ se il governo accetterà davvero di fare quella retromarcia che non ha escluso in via di principio. Brunetta e Baretta hanno provato a fare il più semplice degli scambi: niente pacchetto di regali sull’Irpef, e abolizione dei previsti aumenti Iva dal 10 all’11% per cento e dal 21 al 22% a partire dal primo luglio dell’anno prossimo. In fondo era stato lo stesso governo a sostenere di avere tolto solo un punto dei due previsti di rincaro sulle aliquote Iva proprio per concedere uno sgravio fiscale ai redditi bassi diminuendo le due aliquote Irpef che li riguardavano. Ma facendo i conti si è scoperto che quella del governo era solo propaganda. Quello scambio non si può fare perché la legge di stabilità per il 2013 è nella sostanza una vera e propria stangata fiscale. Le apparenti brioches gettate al popolo dalla finestra di palazzo Chigi (con la stessa operazione che Monti ha stigmatizzato citando la vecchia politica che prometteva quel che non manteneva), sono portate via da una raffica di tagli di agevolazioni fiscali e di nuove tasse disseminate lungo tutti gli articoli della manovra. Risultato: non ci sono risorse per eliminare le tasse e rinunciare ai regali lasciando i saldi in variati. Lo sconto Irpef sul 2013 vale infatti 4,2 miliardi di lire. Ma è mangiato per la metà da quasi 2 miliardi che lo Stato incasserà con i nuovi tetti messi a detrazioni e le franchigie messe alle deduzioni. Che valgono 1,1 miliardi di aumento della pressione fiscale annuale a regime, ma che per il 2013 si sommano anche a circa 900 milioni di euro retroattivi, perché relativi al 2012. Togliere ogni aumento Iva nel 2013 costa 3,28 miliardi di euro, quindi di più. Lo scambio non è possibile subito. E non lo sarebbe nemmeno per gli anni successivi, perché il regalo fatto vale meno delle nuove tasse che il governo ha messo. Con le mani così legate i due relatori hanno cercato di fare le nozze con i fichi secchi. Hanno scelto di togliere il rincaro Iva più odioso: quello dal 10 all’11%, che scatterebbe su molti generi alimentari colpendo la popolazione più povera. Resta però l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%, che colpirà la spesa del ceto medio e della popolazione più ricca, e che dei due è anche il più pesante per le casse dello Stato: vale circa 4 miliardi di euro sui 6,5 complessivi. Grazie a questa somma si può rinunciare al regalo Irpef, eliminare certo tutti i vincoli a detrazioni e deduzioni per l’anno 2013 e forse anche per quelli successivi. Resterebbe in tasca da usare per altro circa un miliardo di euro nel 2013 e 3 miliardi di euro per il 2014 e successivi. La scelta proposta dai relatori è quella di impegnarlo tutto nella riduzione del cuneo fiscale, diminuendo la tassazione complessiva solo a favore dei lavoratori, perché le risorse non sarebbero sufficienti a beneficiare anche le aziende.  Baretta vorrebbe convogliare tuta la somma sui lavoratori dipendenti, e questo certo avverrà per il 2013. Significherà avere qualche euro di beneficio in busta paga. Per il 2014 la proposta Pd è invece di allargare quella somma alle imprese. Brunetta invece vorrebbe ricomprendere in quei 3 miliardi anche i lavoratori autonomi, che fin qui sono stati presi proprio a schiaffi dal governo Monti, di cui sono sembrati i veri nemici di classe.  La soluzione al momento è ancora aperta, come suggestiva (e non molto più) è l’idea di Brunetta di creare un fondo per la riduzione futura della pressione fiscale in cui fare affluire parte dei risparmi della spending review e magari anche quelli di un eventuale accordo fiscale con la Svizzera (i soldi presi ai possibili evasori). Il governo non  ha alzato barricate, ma ha detto che deve attendere i conti della ragioneria. Se l’operazione riuscisse, con un po’ di belletto sostanziale sarebbe migliorata una manovra davvero brutta, che questa volta non ha nemmeno la scusa della emergenza finanziaria. Resterà in ogni caso la stangatina fiscale sul Tfr e la stanga tona classica sulla benzina, che porterà stabilmente nelle casse dello Stato 1 miliardo di euro l’anno. E resta al momento intatta anche la Tobin tax criticata da tutti: anche questa dovrebbe aumentare la pressione fiscale di un miliardo di euro l’anno.   

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