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Così i "frugali" olandesi fregano soldi all'Italia

Mark Rutte con Giuseppe Conte

I Paesi Bassi non vogliono darci i sussidi ma sono con i loro paradisi fiscali fanno danni a tutta la Ue (sottraendo all'Italia 1,5 mld all'anno)

Francesco Specchia
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Vige in diplomazia, dalla nascita delle Comunità Europea una formula decisionale implacabile ideata dall’ambasciatore Guglielmo Folchi, la cosiddetta “Legge del Fracassi: nel dubbio sempre in culo ai Paesi Bassi”, ovvero se non avete istruzioni su come schierarvi, aspettate la proposta del delegato olandese e prendete la decisione opposta. Come, più o meno, con D’Alema quand’era segretario di partito.

La legge del Fracassi affiora inesorabile alla lettura dell’intervista di Paolo Valentino -su anticipata dal Corriere della sera- a Mark Rutte, il premier olandese il superfalco la cui austerità fa impallidire la Merkel. Rutte è il leader dei 4 sedicenti “paesi frugali” (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca) che blocca il piano Marshall Ue, chiede limiti rigorossimi ai paesi bisognosi di fondi post Covid. Soprattutto noi.  Sicché, dopo aver elogiato Giuseppe Conte, Rutte dichiara: “Gli Stati quali necessitano e meritano aiuto devono far sì che in futuro siano capaci di affrontare da soli crisi del genere in modo resiliente, l’Italia deve rispondere da sola”. E ancora sul fatto di non erogare contributi a fondo perduto (quelli che chiediamo noi): “Un sistema di prestiti è molto più logico. L’aiuto dev’essere fatto di prestiti, non di contributi”. Naturalmente è in corso un dibattito europeo ferocissimo su questo. E la banda dei 4, in realtà, fa la voce dura solo per ottenere i rebates, gli sconticini - privilegi oramai antistorici risalenti alla Thatcher- sui contributi al prossimo bilancio europeo. Ma la stizza e il dissenso a priori dell’Olanda nei nostri confronti è un fatto storico, più di quello della Germania il che è tutto dire. E se vuole appianarlo definitivamente è ora che Conte, per primo, estragga il “dossier dei profitti perduti delle nazioni”, depositato ma mai coraggiosamente squadernato alla Ue, laddove si attesta di come l’Olanda (e l’Austria tra i Frugali) , in barba a qualsiasi tentativo di armonizzazione dei sistemi fiscali, abbia creato un paradiso fiscale che sottrae entrate all’Unione stessa (e a noi). In Olanda non sono tassati dividendi e royalties generati da imprese straniere operanti in loco. Secondo il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, “solo il 4% del reale volume d’affari risulta imponibile ai fini fiscali. Secondo un rapporto della commissione del Parlamento Europeo le politiche fiscali olandesi sarebbero responsabili di una erosione di introiti fiscali pari a 11,2 miliardi di Euro, a danno degli altri Stati Membri”.

Il Tax Justice Network - indicatore importante- colloca l’Olanda al 4° posto tra i paesi/paradisi fiscali per multinazionali, dopo le British Virgin Islands, Bermuda e Cayman. Rutte che ci fa la morale per imporre un rigore finanziario che egli stesso non rispetta.  “Nel rapporto 2017 di Eurodad, solo 2 paesi non hanno fornito alla Commissione Europea i dati sugli accordi di tax ruling con le singole società multinazionali: Olanda ed Austria. Nel 2015, l’Olanda ha stipulato 235 contratti, 203 l’anno prima. In questa classifica, 2 paesi precedono l’Olanda: Lussemburgo e Belgio (con 519 e 396 accordi)”. Non è tutto. Secondo il Sole 24 Ore l’Italia attrarrebbe investimenti esteri diretti pari al 19% del Pil, il Lussemburgo per oltre il 5.766%, l’Irlanda il 311% e l’Olanda addirittura il 535%. “Come? Grazie alle 15mila società “bucalettere” (molte multinazionali italiane da Mediaset a Fiat Chrisler, ndr) lì registrate che permettono transiti di denaro da 4.500 miliardi di euro all’anno, 6 volte il Pil”. Ma non è solo il fisco inesistente per le holding di partecipazione, è l’intero sistema olandese ad esser strutturato per surfare tra elusione e evasione. E lo fa attraverso la flessibilità della governance societaria, con il voto plurimo nelle assemblee degli azionisti; un apparato giudiziario sburocratizzato; una finanza che trova capitali a costi bassi; e tutta la mandria dei professionisti delle multinazionali: fiscalisti, commercialisti, avvocati, advisor e amministratori per render fluidi i passaggi. Per Bruxelles le pianificazioni fiscali aggressive all’interno dell’Ue provocano una perdita annuale di gettito tra i 50-70 miliardi ossia il 17% delle entrate fiscali; sono 160-190 miliardi di euro se si comprendono anche gli accordi ad hoc delle multinazionali con gli Stati e le inefficienze nella raccolta del gettito. Meno di 50 miliardi sono elusi dalle persone fisiche, e 65 miliardi calcolati per frodi sull’iva transfrontaliera.

In tutto ciò l’Italia perde ogni anno il 19% delle entrate tributarie dalle proprie imprese ovvero 7,5 miliardi l’anno, di cui 6,5 all’interno della Ue. Solo i Paesi Bassi l’anno scorso ci hanno sottratto 1,5 miliardi. Ci siamo voltati un attimo e Rutte se li era fumati. Concorrenza sleale allo stato puro. Ci fu un momento in cui il Parlamento Europeo decise, nel 2018, di istituire una commissione speciale per reati finanziari. Ma non se ne fece mai nulla. Vuoi perché, di fatto, nessun governo vuol aprire cassetti dove possono trovarsi documenti e rendicontazioni sospette che possano intrecciarsi con le proprie; e perché le modifiche in tema fisco richiedono l’unanimità, e i “paradisi” si oppongono ad ogni ordine del giorno, in nome della “sovranità fiscale”. A meno che Conte non evochi il Fracassi…

 

 

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