Mani in tasca

Mario Draghi ci sommerge di cartelle esattoriali, in arrivo 25 milioni di notifiche entro fine anno

Sandro Iacometti

Quello che tutti temevano è puntualmente accaduto. Tolto il blocco Covid, sui contribuenti si sta iniziando a riversare la valanga di avvisi di pagamento che dal marzo del 2020 giacciono frementi nei cassetti della Riscossione in attesa di poter tornare ad aggredire chiunque abbia un debito, per quanto piccolo o lontano nel tempo, con l'erario. Qualche mese fa si parlava di 35 milioni di cartelle esattoriali. Poi nelle ultime settimane l'Agenzia delle entrate ha corretto il tiro: sono "solo" 25 milioni. Ma la sostanza cambia poco. Anche se fosse vera quella promessa fatta trapelare in via ufficiosa dagli uffici del fisco, che la ripartenza dell'attività sarebbe stata graduale e che da qui a dicembre sarebbero stati spediti "solo" 4 milioni di atti, il calcolo è presto fatto.

Un milione di cartelle al mese, 33mila al giorno, 1.300 l'ora. Con ritmi del genere era chiaro che sarebbero bastati pochi giorni per scatenare l'inferno. Il blocco delle notifiche da parte della Riscossione, scattato con l'inizio della pandemia, è scaduto lo scorso 31 agosto. Dal primo settembre tutto è tornato come prima. Cartelle, avvisi, notifiche, procedure esecutive, pignoramenti. Gli agenti della ex Equitalia hanno ricominciato a spedire atti come e più di prima. Risultato: ad una settimana di distanza dal liberi tutti fioccano le segnalazioni di contribuenti letteralmente presi d'assalto dal fisco. C'è chi, nell'arco di qualche giorno, ha ricevuto più di una cartella esattoriale. E in molti caso non si tratta, come era stato detto, di iscrizioni a ruolo congelate durante il Covid, ma di atti risalenti a decine di anni fa.

 

 

 

Una situazione per certi aspetti inevitabile. Malgrado i continui allarmi, lanciati anche dallo stesso direttore dell'Agenzia delle entrate e presidente della Riscossione, Ernesto Maria Ruffini, il magazzino di crediti non riscossi continua a crescere. La situazione aggiornata al 31 dicembre 2020 parla di poco meno di 1.000 (mille!) miliardi di somme iscritte a ruolo che i funzionari per legge devono ancora cercare di riscuotere. Una finzione, ovviamente, che serve solo a far sballare i conti dello Stato.

In realtà, quello che il fisco può sperare di portare a casa, togliendo i debitori deceduti, quelli falliti, quelli scomparsi, ecc. è appena di 84,6 miliardi, l'8% del totale. Ma a fare ancora più impressione è il confronto tra le cartelle esattoriali affidate alla ex Equitalia dal 2000 e ciò che è stato incassato: ammontano a 1.424 miliardi le prime e a 123 miliardi il secondo. E non è finita, perché l'entita del magazzino residuo si traduce in circa 225 milioni di singoli crediti da riscuotere contenuti in circa 137 milioni di cartelle. Da qui è facile capire quello che sta accadendo in questi giorni.

 

 

 

 

 

Non si tratta solo della legittima pretesa del fisco di avere indietro i soldi dovuti dai contribuenti (senza scordare mai che nei contenziosi con l'erario l'amministrazione vince soltanto una volta su due) durante la tregua stabilita nei mesi della pandemia, ma di un antico meccanismo infernale che si è riattivato e rischia di travolgere milioni di cittadini in crisi di liquidità. «È un'operazione in cui perdono tutti», spiega il presidente del Giovani dottori commercialisti, Matteo De Lise, «i contribuenti perché si trovano senza ossigeno in un momento così delicato e lo Stato perché alla fine non riuscira ad incassare». Oltre a razionalizzare l'invio delle cartelle, suggerisce De Lise, «sarebbe stato opportuno allungare i tempi di valutazione dell'atto e il periodo in cui è possibile presentare richiesta di impugnazione. In questo modo si eviterebbero anche tentativi di recupero impossibili, che rappresentano solo uno spreco di risorse pubbliche, da parte della Riscossione». Ma è chiaro che la strada migliore, visto anche il periodo, conclude, «è quella di avviare al più presto un'altra rottamazione dei ruoli».

 

 

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