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Supermercati, "rincari del 20%": quali prodotti schizzano alle stelle

Attilio Barbieri
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L'inflazione all'8% rischia di essere soltanto l'antipasto di quel che ci aspetta quest' autunno. La raffica di aumenti che ha investito i beni alimentari si è scaricata soltanto in parte sui prezzi di vendita: le filiere, finora, hanno assorbito una parte consistente dei rincari. Ma non ce la fanno più: è solo una questione di tempo ma ci aspetta un ulteriore balzo del 20%, anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo. «La sensazione è che vi sia una sottovalutazione delle nubi che si addensano all'orizzonte», racconta a Libero Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, «a livello globale c'è stato un un aumento medio nei prezzi dei prodotti agricoli del 23%, con alcuni valori ben al di sopra che continuano a destare preoccupazione sia negli oltre 50 Paesi a rischio carestia, sia sui mercati come quello italiano dove l'aumento dei costi di produzione agisce negativamente sulla possibilità delle imprese agricole di continuare a produrre - e infatti una su dieci chiude - mentre una azienda alimentare su quattro sta tagliando drasticamente la produzione. D'altronde, con il costo del gas a 175 euro per megawattora, l'aumento delle materie prime, il rincaro del cartone che ha fatto +85% negli ultimi mesi dopo essere raddoppiato lo scorso anno e con l'anidride carbonica alimentare che non si trova c'è poco da fare. Le aziende faticano ad andare avanti».

 

 

 

Finora cos' è successo?
«Le imprese di produzione più fortunate sono riuscite ad ottenere incrementi anche del 25%, comunque insufficienti a compensare i maggiori costi subiti. Aumenti che molte catene di distribuzione finora hanno in parte assorbito senza scaricarli sui prezzi a scaffale, temendo un crollo dei volumi di vendita. Ora però le catene non ce la fanno più...».

E dunque?
«A settembre anche la grande distribuzione sarà costretta a scaricare questi aumenti sui prezzi finali.
E ci sarà un'ulteriore impennata dei beni di prima necessità».

In quale ordine di grandezza siamo?
«In Italia, le nostre imprese agroalimentari hanno dei costi di produzione che sono cresciuti trainati soprattutto dall'energia, del 25-30%. Oggi l'inflazione degli alimentari è fra l'8 e il 10%. C'è una forbice del 20% che deve ancora arrivare».

Una bastonata pesantissima...
«Senza dubbio. Soprattutto per le famiglie che dedicano la quota maggiore del proprio bilancio ad acquistare gli alimenti e l'energia».

Ci sono alternative?
«No. Se questi aumenti di costo non si dovessero scaricare nel mercato ci sarebbero chiusure a raffica fra le aziende di produzione, all'interno delle filiere. Non c'è alternativa. Fra l'altro parliamo di aumenti di prezzo a malapena sufficienti a pareggiare i costi di produzione. Non si arricchirebbe nessuno. Neppure la parte buona della grande distribuzione che per i primi mesi ha tenuto in pancia gli aumenti per non abbassare drasticamente i volumi di vendita. Ora però non può più farlo».

 

 

 

Come se ne esce?
«L'unica soluzione è far arrivare più soldi in tasca alle persone tagliando il cuneo fiscale, anche tutto a favore dei lavoratori. E contemporaneamente abbassando o cancellando del tutto l'Iva sui beni di prima necessità.
Non vedo altre opzioni».

A livello politico c'è la percezione di quanto possa diventare critica la situazione nel giro di pochi mesi?
«Se a livello italiano c'è forse un'attenzione inadeguata verso questi fenomeni, a livello europeo è addirittura peggio».

In che senso?
«Sull'agroalimentare continua a pesare la transizione ideologica basata sull'abbandono produttivo. Al di là delle dichiarazioni si prosegue con una Pac e una strategia Farm to Fork ancora immodificate rispetto al calo di produzione registrato. I 200mila ettari messi in coltura servono a poco perché la deroga dura soltanto alcuni mesi. E gli obblighi di rotazione delle colture rimangono tutti in vigore...».

Un quadro desolante...

«Nella politica europea non sembra vi sia la percezione della gravità dei fenomeni in atto. Fra l'altro la crisi climatica con il calo di precipitazioni che ha interessato pure l'est Europa, ridurrà fino al 30% le rese delle nuove produzioni di cereali. Ci sarà una scarsità sul mercato ben superiore a quella provocata dall'invasione russa dell'Ucraina. Un calo di resa che farà salire ulteriormente i prezzi. E di parecchio. Uno scenario che prefigurerebbe misure ben più drastiche rispetto a quelle che timidamente si cerca di assumere. Mentre manca del tutto una solidarietà comunitaria che porti ad una reale condivisione di conseguenze e sacrifici». 

 

 

 

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