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Inflazione, perché non è solo la domanda a farla salire

Manuela Donghi
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La lezione sull'inflazione si fa sempre più intricata. Perché è ovvio che a causa di questa tutto si complica: in Italia abbiamo una percentuale del 7,9%, il che si traduce in un'ennesima stangata sulle nostre tasche. E non è bastata la frenata dei costi dell'energia per rallentarne la corsa. L'Istat ha confermato che a luglio i prezzi sono cresciuti dello 0,4% sul mese precedente, ed è il cosiddetto "carrello della spesa" a mostrare un balzo importante: a luglio segna un +9,1% sul 2021, dato mai così alto dal 1984. È come se l'inflazione avesse contagiato altri settori: tocca ora a beni alimentari, per la pulizia della casa, per l'igiene personale e prodotti di bellezza. In somma: andiamo al supermercato e testiamo.

Però occorre sapere che il caro vita non ha un solo volto: ad esempio, la nostra nuova "amica" è l'inflazione da costo, diversa da quella da domanda, che aveva interessato il periodo post-Covid, quando tutte le attività erano ripartite dopo le restrizioni. E che, per certi versi, esiste ancora. Non dovendo essere per forza esperti di finanza, ma essendo obbligati a far i conti col nostro portafoglio per gestire l'economia domestica e quotidiana, soffermiamoci su questa differenza.

 

 


 

C'è sicuramente una componente legata a un'economia che corre dopo i lockdown, ma esiste anche un'inflazione dal lato dell'offerta, dovuta soprattutto all'aumento dei prezzi dell'energia. Partiamo dall'inflazione da domanda: si tratta di un aumento dei prezzi che scatta per una richiesta di beni e servizi che supera l'offerta.

Lo diciamo terra terra? Io produco pomodori e ne metto sul mercato un kg: se la richiesta è effettivamente di un chilo, il prezzo di riferimento sarà più o meno poco più di 2 euro. Se però la richiesta fosse di 2 kg e io ne avessi sempre e solo uno, allora il prezzo aumenterà. Niente influenza l'economia di mercato quanto domanda e offerta. Se l'offerta supera la domanda, i prezzi scendono, un'offerta troppo bassa li fa salire. Questo è successo con la ripresa dopo il Covid. Poi è arrivato il conflitto in Ucraina che ha peggiorato la situazione facendo crescere il costo di energia e gas, e così le tensioni geopolitiche hanno spinto verso l'alto i prezzi delle materie prime che hanno iniziato ad arrivare in Europa a singhiozzo.

 

 

La Russia, secondo produttore di gas naturale al mondo, ha ridotto le esportazioni dopo le sanzioni volute e inflitte dall'Occidente, e anche qui l'Europa è stata maggiormente colpita, visto che da lì importava il 40% del gas. Abbiamo assistito a un rialzo delle materie prime - diventate anche meno reperibili- e quindi più costose. Da qui le conseguenze più dirette: imprese sempre più in difficoltà, costi di produzione alle stelle, prezzi in salita per il consumatore finale che ha visto ridurre il suo potere d'acquisto. È proprio il rapporto tra stipendi e costi medi a penalizzare gli italiani: i salari sono calati del 3% dal 1990 a oggi, mentre gli altri Paesi Ue hanno registrato aumenti ben superiori. Quando i prezzi salgono perché la richiesta cala a causa di rallentamento economico e minori possibilità di spesa dei consumatori, ecco che si parla di inflazione da costo, che pare proprio essere quella di oggi.

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