Soldi no, sanzioni sì. Sono queste, in sostanza, le novità della direttiva sulle case green che domani approderà in Commissione Industria la Parlamento Ue. Un provvedimento che appare sempre più diretto a colpire l’Italia. Le specificità del nostro patrimonio immobiliare, vecchio e a proprietà diffusa, ci rendono infatti particolarmente esposti all’ambientalismo ideologico di Bruxelles. «Questa direttiva si tradurrà, di fatto, in una patrimoniale. Innanzitutto, perché ridurrà il valore di mercato delle case di chi non riuscirà ad adeguarsi; in secondo luogo perché è demandato agli Stati membri di imporre sanzioni a chi non si sarà adeguato» spiega a Libero il Capodelegazione delle Lega al Parlamento Ue, Marco Campomenosi. Stando all’ultima bozza, quella su cui si esprimerà la Commissione Industria, gli edifici dovranno essere ristrutturati in modo da portarli nella fascia E entro il 2030 e in quella D entro il 2033. Se passasse questo schema, sarebbero circa 9 milioni le abitazioni non in regola.
CONTO SALATISSIMO
Lo sforzo economico per adeguarsi ai diktat europei sarebbe enorme, con un conto, calcolato dall’Ance, di circa 59 miliardi di euro all’anno. Non solo. Sempre secondo l’associazione dei costruttori, per portare tutto il patrimonio immobiliare alla classe energetica E, il primo gradino previsto dalla bozza del provvedimento, servirebbero 630 anni. «Le soglie temporali stabilite dalla direttiva non sono credibili» sottolinea Campomenosi, «temo che l’obiettivo sia quello che Bruxelles ha ribadito diverse volte nei suoi studi, ovvero tassare la proprietà immobiliare in Italia. Si tratta, insomma, di una patrimoniale nascosta: la Commissione Ue, che deve vigilare sull’applicazione delle direttive, potrà chiedere conto al nostro Paese di quanto fatto per sanzionare chi non ha ancora adeguato la propria casa». I soldi, si diceva. Nel testo che sarà messo ai voti domani, concordato da tutti i gruppi del Parlamento Ue ad eccezione di Ecr (di cui fa parte FdI) e di Identità e Democrazia (Lega), si prevede che i Paesi membri debbano fornire un supporto finanziario adeguato a raggiungere gli obiettivi. In altre parole, saranno i governi a dover stanziare le risorse necessarie.
Anche perché, al momento, i fondi messi sul piatto da Bruxelles sono piuttosto scarsi. E, soprattuto, non sono risorse fresche. Stando alla proposta della Commissione Ue, infatti, da qui al 2030 a disposizione ci saranno 150 miliardi di euro che verranno racimolati raschiando i vari programmi di spesa già esistenti come il Fondo di sviluppo regionale, il Fondo di coesione e il Pnrr. Il resto sarà a carico dei bilanci degli Stati. La bozza, inoltre, prevede degli obiettivi ancora più stringenti rispetto alla proposta della Commissione, che imponeva la classe energetica F nel 2030 e poi la E nel 2033. Certo, le eccezioni introdotte dalle versioni precedenti sono state mantenute. Oltre alla possibilità di chiedere a Bruxelles, per ragioni di fattibilità tecnica ed economica, un allentamento dei vincoli, gli Stati membri potranno escludere dai requisiti energetici gli edifici di particolare pregio storico e architettonico, le seconde case utilizzate meno di quattro mesi all’anno e gli immobili indipendenti fino a 50 metri quadri. Ma si tratta comunque di piccoli correttivi.
LEVATA DI SCUDI
Non a caso l’avvicinarsi del voto in Commissione ha provocato una levata di scudi da parte di vari esponenti del governo. Mentre il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha paventato il rischio che la direttiva si trasformi in una patrimoniale «sulla testa delle famiglie», il titolare dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha detto che la norma va «emendata per adattarla al contesto italiano». Gli ha fatto eco il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto: «c’è una peculiarità del nostro Paese e il Governo difenderà questa peculiarità», presentando un suo piano. La strada per l’entrata in vigore della direttiva, va detto, è ancora lunga. Dopo il voto in Commissione Industria di domani, il testo approderà a marzo nella plenaria di Strasburgo e poi inizierà il cosiddetto trilogo, ovvero il negoziato tra Parlamento, Commissione Ue e Consiglio per arrivare a un provvedimento condiviso. «Non sono ampli, è vero, ma presenteremo di nuovo in plenaria gli emendamenti che abbiamo portato in Commissione e redatti dalla collega leghista Isabella Tovaglieri» conclude Campomenosi.