La telefonata

Zakharova attacca Libero: tranello delle iene di Putin a Meloni, ora cambia tutto

Claudia Osmetti

L’aveva già fatto, ma torna sul punto. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, punta il dito (di nuovo) contro la premier italiana Giorgia Meloni. Anzi, in un certo senso risponde proprio a Libero: o, meglio, al direttore di Libero, Mario Sechi, che giovedì sera, nel corso della trasmissione Otto e mezzo su La7, ospite di Lilli Gruber, lo dice chiaro. Dice: «Questa non è una burla, non è uno scherzo, è un’operazione, raffinatissima, di disinformatia dei servizi segreti russi». Il caso, ovviamente, è quello della telefonata dei due comici di Mosca, Vovan e Lexus, che hanno raggiunto, telefonicamente, a metà settembre, Meloni fingendosi un importante politico africano e parlando con lei dell’immigrazione e della guerra in Ucraina.

Ma Zakharova non ci sta. Non ne vuol sentir proprio parlare, di servizi segreti e di retroscena. Sechi, in diretta, specifica: «E' un’operazione che puntava a indebolire Giorgia Meloni che è la leader di un governo il quale, in questo momento, è fondamentale nell’alleanza pro-Kyiv. Non a caso Maria Zakharova fa riferimento a questa telefonata». Chiamata in causa, ieri Zakharova risponde. Per la seconda volta. Lo fa sul suo canale Telegram: «Come può essersi trattato di “disinformazione da parte dei servizi segreti del Cremlino” quando il primo ministro di Roma ha affermato ciò che ha ritenuto di dover affermare?». La ripresa del commento di Sechi è inequivocabile. «Questo», aggiunge, riferendosi invece a quanto la premier ha affermato nel corso di quella chiacchierata, «è la sua posizione. Sono i suoi pensieri, che ha espresso di sua iniziativa. Si tratta di un discorso diretto e non decontestualizzato. Perché mai quello che dice il primo ministro italiano in pubblico dovrebbe essere diverso da quello che dice dietro le quinte? Questo spetta a voi capirlo». E poi, ancora: «Meloni non è l’unica a essere rimasta vittima di uno scherzo. Lei non può nemmeno immaginare quante chiamate simili riceviamo, ad esempio, dai cyber-terroristi ucraini. La differenza sta nel fatto che Vovan e Lexus hanno parlato di argomenti politici con Meloni, mentre noi riceviamo telefonate da Ucraina, Germania, Italia, Canada e Stati Uniti in cui vengono fatte delle minacce».

 


Insomma, alla fine la vittima è il governo di Vladimir Putin. Frittata rigirata che è ancora in padella. Anche perché la posizione di Mosca la conosciamo: le risposte di Meloni lascerebbero intendere che il presidente ucraino Volodymyr Zelensnkyj abbia il «diritto di glorificare» i nazionalisti ucraini come Stepan Bandera (il leader della frazione radicale di estrema destra Oun-b negli anni Quaranta) e Roman Shukhevych (il capo dell’esercito dei ribelli ucraini nello stesso periodo).

E tutto questo Zakharova lo aveva già ribadito, due giorni fa, quando la telefonata del duo comico moscovita era stata resa nota ed era diventata una polemica infinita sulla stampa italiana. Si era anche già rivolta a Meloni, Zakharova, chiedendole se fosse pronta a «glorificare» anche lei dirigenti fascisti come Achille Starace o Achille Pavolini «o le famigerate Brigate nere che operavano tra il 1943 e il 1945 nell’Italia settentrionale». Accuse, ecco. Campate sul nulla, per giunta. «Capisco», aveva scritto la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, «che lei (cioè Meloni, ndr) sia molto occupata con faccende importanti ed è improbabile che trovi il tempo per i libri. Ma sicuramente può trovare un’ora e mezza per un film. Der Fall Collini: si tratta di un film tedesco in cui appaiono anche attori italiani. Nessuno la accuserà di lasciarsi trasportare dalla propaganda del Cremlino. E forse capirà». Basta intendersi sul cosa, però.