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La "Mes in scena" è terminata: per Bruxelles niente drammi

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La Mes in scena è finita. La sinistra ce l'ha messa tutta, bisogna ammetterlo. Ma la realtà è difficile da domare. E prima o poi la sportellata arriva. Vi ricordate gli allarmi lanciati dai media progressisti, le balle catastrofiche propalate da Pd, M5S e dai cespugli d’opposizione dopo il no del Parlamento al Mes? «La Ue ce la farà pagare», «nulla sarà più come prima», «l’Italia resterà completamente isolata», «Giorgetti è stato sfiduciato». Pur conoscendo in pochissimi cosa sia veramente il Meccanismo europeo di stabilità, c’è pure chi si è spaventato davvero, aspettandosi da un momento all’altro fulmini e saette in arrivo da Bruxelles. Altro che regali e panettone. Nelle settimane che hanno preceduto il Natale non si è parlato d’altro. «Hai sentito che è successo sul Mes?», si vociferava pure nei bar, «ora sono guai». Qualcuno ha addirittura ipotizzato che i disturbi fisici di Giorgia Meloni fossero solo un maldestro stratagemma per evitare l’imbarazzo di dover dare spiegazioni alla stampa durante la conferenza stampa di fine anno. «E mo’ che je dico?», direbbe Osho in una delle sue vignette.

 

Ebbene, la terrificante risposta della Ue al clamoroso schiaffo dell’Italia alla fine è arrivata. Tenetevi forte. «Non è motivo per allarmismo, gli strumenti che volevamo non sono di urgente necessità», ha spiegato un funzionario europeo in vista della riunione dell’Eurogruppo di lunedì, «Non è successo nulla di drammatico. Siamo in una buona posizione, forte e solida, e abbiamo il fondo di risoluzione unico che ha raggiunto la sua massima capacità e il Mes resta operativo nella sua forma iniziale». Ma come? Tutta qua la devastante rappresaglia dell’Europa? Con buona pace dei capelli strappati dalle opposizioni, sembra proprio di sì. Alla fine persino il nostro commissario Paolo Gentiloni, pur sembrando pronto a rigettarsi di qui a poco nell’agone politico, si è dovuto arrendere. «Spero che questo problema possa essere risolto in futuro, ma ovviamente noi siamo democrazie e prendiamo nota della decisione del parlamento», ha detto durante un’audizione alla commissione Affari economici del Parlamento europeo.

 

Detto questo, e riportando il dibattito nei confini della ragionevolezza, è ovvio che a Bruxelles nessuno ha fatto i salti di gioia nell’apprendere della decisione italiana. «Speravamo in un esito diverso», ha ammesso la fonte, aggiungendo che saranno comunque chiesti chiarimenti al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sulle dinamiche che hanno portato alla mancata ratifica della riforma. Ma più che a prenderci a calci nel sedere, l’attenzione di Bruxelles ora sembra concentrata sui prossimi passi. «Parte della discussione che avremo lunedì è anche sulle future opzioni che abbiamo. Abbiamo un piano A e la domanda è se attenersi al piano A o creare un piano B», ha spiegato il funzionario. Quello che per ora è sicuro, ha proseguito, è che dopo la mancata ratifica «è impensabile» immaginare un Mes a 19, e senza l'Italia, per il backstop, il paracadute contro le crisi bancarie che avrebbe dovuto entrare in funzione nell'eurozona nel 2024 e che è l’unica vera novità bloccata dal voto parlamentare.

 

La realtà è che del Mes, almeno in questo momento, frega poco. A tenere banco in Europa è invece il nuovo Patto di stabilità su cui c’è già chi scalpita per ritornare al più presto alle vecchie liste dei buoni e dei cattivi. «A giugno raccomanderemo al Consiglio l'apertura delle procedure per disavanzo eccessivo», ha tenuto a chiarire il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, sollecitando i co-legislatori del Parlamento europeo e del Consiglio a trovare «un accordo sulle nuove regole di governance economica e adottare la legislazione il più rapidamente possibile». Il quadro complessivo sulla procedura per deficit europea sembra indicare che con il nuovo Patto di stabilità non dovrebbe cambiare molto rispetto al Vecchio, hanno segnalato più fonti a Bruxelles, salvo per i piani pluriennali previsti con la riforma.

 

Resta tutto da capire invece quando inizierà ad applicarsi il nuovo Patto, ma molto dipenderà dai tempi dell’accordo tra co-legislatori. «I piani a medio termine in linea di principio dovrebbero iniziare nel 2025 e venir discussi nella seconda metà di quest'anno - ha segnalato Gentiloni -. È possibile, ma non ovvio. È qualcosa da discutere nell'ambito dei triloghi», le trattative inter-istituzionali che partiranno non appena il Parlamento europeo avrà approvato la propria posizione negoziale sul Patto. Dopo il via libera in Commissione Econ la riforma arriverà all'Eurocamera a Strasburgo la prossima settimana.

 

 

 

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