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Stellantis, la lettera "confidenziale" a John Elkann svela la fuga dall'Italia

Fausto Carioti
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Dunque esiste una lettera che Stellantis, cioè l’ex Fiat, ha inviato ai suoi fornitori italiani «decantando le opportunità di spostare gli investimenti in Marocco dove il gruppo di Elkann è già presente in maniera massiccia». Un invito esplicito a lasciare l’Italia, insomma. Lo ha detto Carlo Calenda nell’intervista uscita ieri sul Messaggero. Nessuno lo ha smentito, né sarebbe stato possibile. Sul sito web di Stellantis chiunque può leggere della convention che si è svolta il 9 e il 10 novembre al Conrad Hotel di Rabat. Ad ospitare i rappresentanti di ottanta fornitori provenienti dall’Italia e altri dieci Paesi c’erano il responsabile della catena di approvvigionamento del gruppo, il ministro dell’Industria marocchino ed il capo dell’agenzia locale per gli investimenti. Hanno mostrato ai fornitori lo stabilimento di Kenitra, inaugurato nel 2015, dove da qualche mese è prodotta la Fiat Topolino: guardate, il futuro è qui. Esiste anche un depliant «confidenziale» del governo marocchino, che Stellantis ha inviato ai fornitori per invogliarli. Libero ne ha una copia: si promettono sussidi diretti e indiretti, zone «Tax-free» in cui le imprese possono godere di «cinque anni di esenzione fiscale», di aliquota Iva allo 0%, di «esenzione illimitata dai dazi doganali» e altre meraviglie.

NON SOLO MAROCCO
La tessera di un mosaico che per l’ex gruppo Fiat non comprende solo il Marocco. È di pochi giorni fa la notizia che il segretario della Cgil piemontese, Giorgio Airaudo, ha dato in consiglio regionale assieme ai suoi colleghi di Cisl e Uil: «Ci sono imprenditori che hanno ricevuto delle lettere da Stellantis in cui si chiede ai fornitori della componentistica di spostare tra il 70 e l’80% del fatturato in Paesi low cost, in India e in Asia». Una strategia semplice, a suo modo. Prima l’azienda porta all’estero la produzione dei modelli: la Topolino in Marocco, la nuova 600 in Polonia e così via. Quindi si convincono i fornitori a seguire le linee di produzione. E questo dopo avere avuto dall’Italia ogni aiuto possibile. Calenda, che fu ministro nei governi di Renzi e Gentiloni, ricorda che durante il governo Conte 2 «Fca riceve una garanzia pubblica di 6,3 miliardi, per consentire agli azionisti di pagarsi un dividendo in Olanda da 3,9 miliardi di euro. E di fatto vendere la ex Fiat a Peugeot».

 

 

Le promesse di mantenere impianti e posti di lavoro sul territorio nazionale, fatte ogni volta che lo Stato concede qualcosa, sono scritte sull’acqua. L’impianto Maserati intestato all’«Avvocato Gianni Agnelli» è stato messo in vendita online: «Vendesi Capannone da 115mila metri quadrati a Grugliasco, prezzo su richiesta». A Mirafiori è tornata la cassa integrazione e si trema perché le vendite delle auto elettriche languono. Questa storia spiega anche il “valore aggiunto” che Repubblica e La Stampa rappresentano per Exor, la holding olandese cui fa capo l’impero della famiglia Agnelli-Elkann. Perché chi controlla quelle due testate ha il potere di condizionare la linea e le ambizioni dei leader della sinistra. Ed è un dato di fatto che Elly Schlein si tenga bene alla larga dall’argomento Stellantis. L’unica volta in cui risulta averne parlato è un mese fa. Non per accusare gli azionisti ed i manager dell’azienda di abbandonare l’Italia, concetto che in bocca a un leader di sinistra non suonerebbe strano. Ma per prendersela con il governo, il quale non starebbe facendo abbastanza per la «conversione ecologica e digitale», che nel mondo a tinte pastello della segretaria del Pd rappresenta la panacea per ogni problema dell’umanità.

 

 

GLI ESUBERI DEL PADRONE
Lo stesso fa il capo della Cgil, Maurizio Landini, altro ospite settimanale delle interviste di Repubblica e Stampa. I problemi di cui ama parlare sono lontani da Grugliasco e Mirafiori: riguardano il ritorno del fascismo in Italia, la guerra di Israele contro Hamas nella striscia di Gaza, l’abolizione del reddito di cittadinanza. Sono gli stessi quotidiani che lanciano l’allarme per «il costo della crisi» che si scarica su oltre 300mila famiglie di lavoratori «coinvolti nei piani di ristrutturazione aziendali» e perché il governo, col suo piano di privatizzazioni, sta mettendo «l’Italia in vendita», come titola Repubblica. Scritto sui giornali di quelli che hanno portato tutto all’estero farà anche «sorridere» Giorgia Meloni, come lei stessa ha raccontato ieri. Ma soprattutto la dice lunga sull’abisso che separa la sinistra da quelle che una volta chiamava «classi lavoratrici», e che oggi, per il padrone dei suoi giornali di riferimento, sono costi da tagliare, esuberi da affidare alla collettività.

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