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Chico Forti, "benvenuto assassino"? Ma quando Di Maio seguiva la vicenda... la figuraccia del "Fatto"

Corrado Ocone
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Se la realtà contraddice la narrazione, che fai? In un Paese normale, fra persone di buon senso, non possono esserci dubbi: correggi la narrazione, fai autocritica. Qui da noi, a sinistra, vige invece un altro canone: nascondi la realtà, tenti di occultarla. Oppure di distrarre il pubblico con particolari di contorno o poco significativi. I giornali, quasi tutti orientati a sinistra, alla notizia del rientro in Italia di Chico Forti, hanno ieri seguito pedissequamente lo schema. Il momento, atteso da un quarto di secolo e su cui i governi precedenti (anche di sinistra) si erano vanamente prodigati, sconfessava infatti troppo platealmente la narrazione che vuole l’esecutivo in carica incline al fascismo, poco capace, isolato internazionalmente e diplomaticamente.

GIOIA FRETTOLOSA
Ecco allora che il trasferimento in Italia dell’imprenditore accusato di un omicidio di cui si è dichiarato sempre innocente è stato relegato nelle pagine interne, sminuito nella sua portata, pretesto per una critica al presidente del Consiglio che lo ha accolto in aeroporto con un gesto che «parla ai populisti» (Repubblica). Da qui a far diventare Forti un’ «icona della destra» (sempre Repubblica) il passo è stato breve. Non sono quindi mancati i raffronti con altri casi, a cominciare da quello di Ilaria Salis, a cui sarebbero stati concessi in Ungheria i domiciliari non in virtù della nostra azione diplomatica ma nonostante essa (interpretazione tanto ardita quanto surreale). La stessa Salis si è meritata addirittura l’apertura de La Stampa, che le ha dedicato un’intervista in ginocchio proprio il giorno del rilascio di Forti.

 

Ovviamente, nessun richiamo in prima pagina alla vicenda sul Domani, mentre il Corriere ha messo sì la notizia in prima, ma in un trafiletto di spalle, parlando, nell’articolo, di «consensi e critiche» al governo. Non è difficile immaginare cosa sarebbe accaduto se Forti fosse stato portato in Italia da un governo di sinistra. I titoli enfatici a tutta pagina si sarebbero sprecati, con tanto di lodi alla capacità di visione e di azione dei leader progressisti. I quali, in verità, un tempo avevano a cuore la sorte di Forti, tanto che in pieno governo giallorosso, al diffondersi della notizia, poi rivelatasi inconsistente, di un’imminente rilascio, avevano tirato fuori tutte le grancasse d’ordinananza.

I deputati PD già il 23 dicembre 2020 manifestavano, in una nota ufficiale, tutta la loro soddisfazione: «Una gran bella notizia, un gran bel regalo di Natale». E, con un’espressione che suona beffarda rispetto al loro imbarazzo e al loro silenzio attuali, sottolineavano che la «liberazione» era «il frutto di un gran lavoro di diplomazia». E il 30 marzo 2021, sicuri, affermavano: «Pochi documenti e poi il via al trasferimento. Manca poco per il rientro in Italia di Chico Forti, da vent’anni detenuto negli USA» e sulla cui «condanna sono tantissimi, ancora oggi, i dubbi». E confidenzialmente concludevano: «Ti aspettiamo Chico!». Attesa vana, a dimostrazione che in diplomazia per ottenere un successo occorre il riserbo, un rigoroso silenzio.

 

CHE FINE HA FATTO?
Oggi tutti silenti o comunque imbarazzati, compreso Luigi Manconi, ex radicale e garantista, che aveva organizzato addirittura una manifestazione davanti a Montecitorio il 13 ottobre 2020. «Che fine ha fatto Chico Forti», si chiedeva su Twitter giusto un anno fa, ricordando gli annunci e le interviste trionfalistiche di Luigi Di Maio che raccontava il lavoro diplomatico che grazie alla sua regia lo avrebbe riportato in Italia. Uno degli sponsor dell’iniziativa dell’allora ministro degli Esteri era ovviamente Il Fatto quotidiano, che lo definiva, in modo asettico, «l’imprenditore trentino che si è sempre dichiarato innocente». Ma, probabilmente, anche i profili personali cambiano a seconda dell’uso politico che si vuole fare di un evento. Ieri, il giornale di Travaglio non ha certo occultato la notizia del trasferimento in Italia di Forti, ma le ha anzi dedicato l’apertura a caratteri cubitali.

Unico particolare, in linea d’altronde con l’ispirazione giustizialista del quotidiano, è che l’imprenditore si prende l’appellattivo di «assassino». Quasi a lasciar intendere che era meglio lasciarlo a marcire nelle carceri americane e non dare soddisfazioni al governo in carica. Che dire? La menzogna in politica non è certo una novità, ma anche a mentire ci vorrebbe un po’ di raffinatezza. Qui il gioco è così palese e sfacciato che non può che essere controprucente per chi lo mette in moto. Gli italiani, per fortuna, sono meno disattenti e creduloni di quanto a sinistra pensino!

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