Lo scenario socio-economico che si prospetta nell’area euro per il II semestre e per il 2026 non brilla, con l’anno in corso che viaggia col passo della lumaca, passo che potrebbe quasi raddoppiarsi nel 2026. Andando in ordine si può ragionevolmente stimare una crescita del Pil inferiore al punto percentuale, nell’area euro per il 2025, cui seguirebbe, nel 2026, un +1,4-1,5 per cento. Per entrambi gli anni quello dell’Italia, si limiterebbe a una crescita dello 0,7% nel 2025 e dell’1,1-1,2% nel 2026. I fattori di rischio che portano agli striminziti risultati in Eurolandia si possono riassumere in quattro grandi capitoli.
Il primo riguarda le incertezze globali legate ai conflitti in corso, all’epopea Trumpiana, tra dazi, posizioni geopolitiche sulle aree dei grandi conflitti bellici e il rischio d’inflazione negli Usa, rischio che negli ultimi indicatori di maggio si è concretizzato ed è in fase di peggioramento. Il secondo ha nella transizione energetica e i costi che comporta e le implicazioni ormai consolidate sul peggioramento climatico, ben sapendo che si contrappongono necessità industriali-commerciali agli iter iper ambientalisti che hanno portato l’industria dell’auto a una possente crisi Il terzo capitolo è legato ai nuovi stili di vita delle popolazioni europee che puntano a un nuovo paradigma che non mette più al centro il lavoro e l’ascesa sociale, ma il tempo libero e l’attenzione alla persona, ancor più della famiglia. In questo contesto si colloca il tipo di domanda di consumi che modifica sostanzialmente il modello produttivo e con esso il reddito pro capite. Il quarto e ultimo capitolo è e sarà il ruolo dell’inflazione che dovrebbe attestarsi intorno al 2% in linea con le aspettative della Bce. Ma essendo cumulata con quella del 2022-23 eroderebbe ulteriormente il potere d’acquisto.
Bene aggiungere che ovunque in Eurolandia, ma soprattutto da noi, a pesare sulle tasche delle famiglie è il carrello della spesa, ossia degli alimentari e dei generi di prima necessità per la persona e la casa, incidenza che si ripercuote sugli altri consumi voluttuari, che sono tali ma essenziali per la domanda su larga scala delle produzioni e indottamente per l’occupazione. L’insieme dei fattori citati si scarica completamente sulla crescita annichilendone le potenzialità. Per l’Italia ad aumentare gli effetti indotti dal rallentamento economico è un debito pubblico che nel 2026 potrebbe sfiorare il 139%, superando i 3 trilioni di euro e, seppur in presenza di uno spread basso quanto mai prima, far erogare agli investitori in titoli pubblici circa 100 milardi di euro di interessi.
Senza dimenticare la deindustrializzazione in corso che, a sua volta, limita l’occupazione e, di riflesso, il reddito procapite. Il fatto di avere una filiera il cui primo sbocco è una Germania alle prese con proprie difficoltà economiche, aumenta la destabilizzazione della crescita. In pratica per l’economia Ue si prospetta una crescita moderata, con il Belpaese che deve superare una molteplicità di ritardi che arrivano da lontano e ne azzoppano lo straordinario potenziale. I flussi turistici stranieri in costante crescita, mai come in questi ultimi anni e per quelli che verranno, sono diventati il primo pilastro del nostro sistema socio-economico.