Facciamoli impazzire: i compagni, intendo. Già da giorni è uno spettacolo assistere alla crisi isterica dei soliti noti per sola eventualità della candidatura di Donald Trump al Premio Nobel per la pace. Si stracciano le vesti, si strappano i capelli, e pare quasi – dal Medio Oriente alla guerra tra Russia e Ucraina – che a sinistra qualcuno si auguri un peggioramento della situazione. Un miglioramento potrebbe significare un qualche merito per Trump: non sia mai, allora.
Ma se volete definitivamente mandarli al manicomio, occorre raddoppiare: non basta il Nobel per la pace a Trump, ma serve anche – ecco la mia proposta – un ancora più meritato Nobel per l’economia da assegnare a Javier Milei.
Non ditelo a tassatori, socialisti ed espropriatori vari, ma l’avventura del presidente argentino appare addirittura sensazionale. Diciamolo onestamente: quasi nessuno avrebbe scommesso su una sua vittoria (e invece ha vinto). Ancora: quasi nessuno avrebbe scommesso sul fatto che un suo governo potesse durare (e invece è ancora lì, con ottimi dati di popolarità). E soprattutto: quasi nessuno avrebbe scommesso su un suo possibile successo (e invece i dati economici dell’Argentina sono clamorosamente brillanti).
A denti stretti – ma con numeri inequivocabili a suo favore – un po’ tutti sono adesso costretti a riconoscerglielo. Non c’è stato nessun “massacro sociale”, e anzi i fondamentali dell’economia argentina non sono mai stati così rassicuranti come oggi. Perfino l’Economist, che l’aveva accolto con scetticismo, ha dovuto celebrarlo qualche mese fa. Del resto, le cifre e le tendenze parlano da sé: inflazione giù del 40%, povertà giù dal 52% al 35% circa della popolazione (altro che “darwinismo”), investimenti su.
Ma attenzione: quel che conta osservare – qui – è che per Milei la libertà non è solo una questione di dati economici, una faccenda legata all’andamento di una curva o di un indice, uno zero virgola in più o in meno nel tasso di inflazione o nel Pil di un trimestre. La questione della libertà assume per lui una dimensione morale, direi spirituale. Ha a che fare con il rapporto tra Stato e cittadino, tra macchina pubblica e sfera personale di ciascuno di noi: quanto della nostra vita e del nostro benessere possa essere messo ragionevolmente a disposizione dello Stato.
Dalle nostre parti – in tutta l’Europa della regolamentazione ossessiva e dello Stato pesante – si farebbe bene ad ascoltarlo e studiarlo. Non (da una parte) a presentarlo come un fenomeno da baraccone o (dall’altra) come un tipo simpatico le cui ricette, però, non sarebbero mai applicabili nel nostro continente. E perché mai? L’Argentina è forse, con la sua storia di statalismi assortiti, un luogo “facile” per una predica e una pratica di libertà?
Certo, scherzando ma non troppo, viene da pensare che se un Milei si presentasse a Bruxelles e in diverse capitali europee con la sua motosega, la motosierra, il celebre PUS (partito unico statalista) potrebbe opporgli un numero infinito di obiezioni: i dentini della motosega non sono a norma “europea”, lui non risulta iscritto all’albo dei motoseghisti, e manca all’appello anche l’indispensabile corso regionale di aggiornamento.
Ma – facezie a parte – c’è molto da imparare dalla sua lezione: un teorico chiamato a passare alla pratica, e con successo. La realtà è che occorrerebbe credere di più alle idee, che sono una forza capace di muovere forze e coscienze.
E magari – quanto alle forme – occorrerebbe riconoscere l’autentico doppio colpo di genio di Milei: per un verso, offrire un incanalamento liberale al fastidio dei cittadini per la vecchia politica; per altro verso, “vendere” il liberalismo classico con toni e linguaggio trumpiani. Milei ha capito che la dottrina liberista e libertaria non poteva essere presentata in termini aridi, accademici, professorali. Ma che serviva un grano di follia. Di più: occorreva “popolarizzare” quelle idee, e trasformarle nello sbocco positivo da offrire al vento anti-establishment che spira nelle nostre società. Questa magia gli è riuscita.