A scadenze regolari, un po’ come l’arrivo periodico degli uccelli migratori (significativamente, ogni anno, si comincia in genere con allodole e tordi), si ripropone una specie ben nota a etologi e politologi: il macronista italico. Ecco, in epoca di dazi, il macronista italico – sulla scia del vate Emmanuel dell’Eliseo – cerca il brivido dello scontro violento con Trump. Mostrandosi in posa plastica, l’esemplare macronista è più interessato alla durezza dell’invettiva contro la Casa Bianca che non al reale rischio di far danno all’economia italiana.
Per aver un’idea della posta in gioco, la sola Italia nel 2024 ha esportato negli Usa beni per un valore di 65 miliardi. Siamo cioè un paese venditore, e loro – la controparte – un paese compratore. Ecco: si è mai visto al mondo un venditore che prenda a male parole un compratore? No: ma il macronista italico non se ne cura e fa eccezione. Consideriamo un singolo settore specifico. L’intera Ue importa alcool dagli Usa per appena 300 milioni di euro l’anno (cioè pochissimo), mentre esportiamo lì beni dello stesso tipo per un valore di 5 miliardi l’anno (di cui circa 2 dall’Italia). Ha senso imbarcarsi in una guerra in cui chi ha così tanto da perdere siamo noi? Ha senso fare i fenomeni? Ha senso dissociarsi da chi – come il governo di Roma – punta a un negoziato pragmatico, esattamente com’è riuscito al Regno Unito?
E invece no: il macronista è come il tipo della barzelletta, quello che, incontrando il Mike Tyson dei tempi d’oro, lo minaccia a brutto muso. Anche un bambino capisce che una simile provocazione rischia di essere un boomerang fatale, ma il macronista italico non resiste. E insiste. E allora ecco il piddino medio che punta a “colpire le big tech Usa”. Ah sì? E quindi i consumatori europei sarebbero pronti a fare a meno dei servizi tecnologici Usa? Torniamo tutti ai piccioni viaggiatori? O – in alternativa – siamo pronti a sborsare in controdazi e sovrattasse un prezzo spaventosamente più alto? Siamo lanciati a cuor leggero verso un mix di inflazione e recessione? Follia pura.
L’altro argomento – qui si cimentano funzionari ed ex funzionari Ue – sarebbe quello di discriminare le esportazioni Usa verso di noi a seconda degli Stati Usa di provenienza, come se fosse facile isolare le filiere e le produzioni prevalentemente “repubblicane” da quelle prevalentemente “democratiche”. Una pazzia, eppure abbiamo dovuto leggere anche questo. Tra l’altro – a memoria – non ci sembra di ricordare analoghe levate di scudi da parte dei macronisti (italici e non) rispetto ai rischi legati alla Cina. Anzi, il macronista tipico è sempre in prima fila a favore del Green Deal e di tutti gli altri atti di masochismo Ue che rischiano di consegnarci a un dominio prima tecnologico e poi merceologico cinese.
Morale: Trump sarà pure un tipo particolare, un interlocutore imprevedibile, a volte affabile e altre volte ispido. E la faccenda dei dazi è oggettivamente pericolosa: tutti – da un lato e dall’altro dell’Atlantico – rischiamo di farci molto male. Ma – ecco il punto – noi rischiamo di farci molto più male. E allora ci sono solo due atteggiamenti possibili. Il primo - assurdo - è quello di continuare a far volteggiare nell’aria le parole “bazooka”, “vendetta” e simili, tirando ulteriormente la corda. Il secondo- ragionevole- è quello di favorire e facilitare la trattativa.
Il governo italiano si sta spendendo positivamente perla seconda alternativa. Che ha già premiato - fuori dall’Ue - un governo di segno politico opposto come l’esecutivo britannico, come accennavo poc’anzi. Bene o male, infatti, Starmer e Trump hanno realizzato poche settimane fa un discreto accordo. Non si capisce per quale ragione allo stesso obiettivo non possa puntare anche l’Ue. E invece non manca una pattuglia di rinfocolatori, di piromani, di gente che cerca di appiccare incendi. È il caso di fermarli.