Latte, pane, frutta e verdura sono troppo cari? La colpa, manco a dirlo, è tutta del governo. L’ultima zattera a cui si è aggrappata la sinistra per tentare di gettare un po’ di fango su Giorgia Meloni è quella del carrello della spesa salito vertiginosamente di prezzo, mettendo in difficoltà chi non riesce ad arrivare alla fine del mese perché ha lo stipendio troppo basso. Qualche esempio?
Prodotti vegetali +32,7%, latte formaggi e uova +28%, pane e cerali +25,5%, alimentari freschi +26,2%, alimentari lavoratori +24,3%. Tanta roba, direte voi, anche perché è tutto rigorosamente vero. Già, gli aumenti ci sono stati. Ciò nonostante, il tentativo del Pd di attribuire i rincari al governo è una balla colossale. Per comprendere l’entità della bufala è necessario partire dai numeri.
I dati citati provengono da un approfondimento pubblicato dall’Istat il 12 settembre, dedicato alle cause principali della crescita dei prezzi dei beni alimentari in Italia tra il 2021 e il 2025, lo stesso intervallo di tempo indicato dal partito nel suo post. E già qui bisognerebbe capire per quale motivo Meloni, che andata a Palazzo Chigi solo alla fine del 2022 sarebbe responsabile di aumenti che sono partiti due anni prima. Quando, tra l’altro, lei era all’opposizione e il Pd, invece, nella maggioranza che sosteneva il governo Draghi. Nel documento l’Istat spiega chiaramente che già nella seconda metà del 2021 i prezzi alimentari avevano cominciato a crescere, spinti dalla ripresa economica successiva alla pandemia di COVID-19 e dai rincari delle materie prime, a partire dall’energia. L’accelerazione più forte si è avuta dall’inizio del 2022 fino alla metà del 2023, quando l’esecutivo di centrodestra era alla guida del Paese da pochi mesi. Ma ammettiamo anche che in così poco tempo quegli scriteriati di Fdi, Lega e Forza Italia abbiano fatto impennare il prezzo del cibo. A questo punto bisognerebbe anche spiegare come siano riusciti ad ottenere lo stesso risultato anche negli altri Paesi dell’Unione europea. Già, perché lo stesso Istat nel suo documento precisa che nel periodo considerato, il costo del cibo è cresciuto in media del 29% nell’area euro e del 32,3% in tutta l’Unione europea, del 32,8% in Germania e del 29,5% in Spagna, tutte percentuali più elevate di quella italiana. Vogliamo chiamare la Meloni a riferire in aula sul carovita europeo?
L’altro lato della bufala riguarda il potere d’acquisto. E qui partiamo da un punto fermo, che non arriva da Giancarlo Giorgetti, ma da quella Bankitalia che solo qualche giorno fa è stata portata in trionfo dalle opposizioni perché ha detto che la manovra aiuta i ricchi. Ebbene, nella stessa audizione Via Nazionale ha spiegato che «è improprio assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto dai lavoratori, soprattutto quando la redditività delle imprese può consentire che questo avvenga attraverso la contrattazione. In prospettiva, la crescita dei salari reali non può che essere sostenuta da un sistema di relazioni industriali ben funzionante e da un rilancio della produttività del lavoro». Ma il bello è che sui redditi bassi, invece, il governo è riuscito ad intervenire, attraverso la riduzione delle tasse, azzerando gli effetti dei prezzi. Come si legge nella relazione annuale dell’Inps del luglio scorso i redditi medi e bassi (fino a 30mila euro lordi) sono stati soccorsi dagli interventi a carico della fiscalità generale fin quasi ad annullare l’impatto dell’inflazione».
Una balla tira l’altra.