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Coronavirus, Antonio Socci: perché il contagio boccia la politica dei porti aperti

Davide Locano
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Alle prese con il coronavirus, il governo italiano mostra l'improvvisazione dei dilettanti e oscilla tra minimizzazione e allarmismo: «Non c' è motivo di allarme o panico» dichiarava Conte, «lo gestiamo come il colera e la peste» aveva aggiunto il ministro Speranza (in effetti, chi mai si allarma per un' epidemia di peste o di colera?). Poi c' è pure il tocco di surreale comicità che Zingaretti sempre ci assicura. Dopo il manifesto dove - a nome del Pd - chiedeva di ridurre a zero le emissioni di cobalto (voleva scrivere anidride carbonica, ma ha confuso le formule chimiche), il buon Nicola ha annunciato l' isolamento del «virus responsabile del coronavirus» (testuale). Il problema non è il suo diploma di perito odontotecnico: preoccupa il fatto che Zingaretti sia il leader dei "competenti" Ieri poi, dopo che Conte aveva risposto picche alla richiesta dei governatori regionali del Nord di evitare, per 14 giorni, la frequenza scolastica di tutti i ragazzi tornati dalla Cina, i ministri della Sanità e della Pubblica istruzione hanno deciso di favorire la loro "permanenza volontaria" a casa giustificando l' assenza dei ragazzi. Così hanno sconfessato Conte. Leggi anche: Coronavirus, Paolo Del Debbio azzera Corrado Formigli A fronte di questa commedia all' italiana, nessuno (neanche le autorità internazionali) riesce a capire le reali dimensioni della tragedia. Qual è davvero la situazione in Cina? Cosa sta accadendo? I dati ufficiali parlano di circa 35 mila contagiati, 4.800 persone in gravi condizioni e 725 morti. Con decine di milioni di persone isolate in città fantasma. Ma non è affatto chiaro se queste sono le cifre vere e se l' epidemia è circoscritta o se invece la situazione è più grave. Né è stata spiegata l' origine di questo virus. La poca chiarezza deriva dalla natura stessa del regime di Pechino che impedisce la necessaria trasparenza e la circolazione delle notizie e dei dati. Ad amplificare la pericolosità dell' epidemia infatti è stato proprio il totalitarismo comunista di quel paese, perché inizialmente le notizie sul virus sono state sottovalutate e silenziate dal regime, impedendo così che venissero prese subito le adeguate contromisure. I REGALI AL REGIME Dunque ora si aprono gli occhi su questa dittatura rossa a cui i globalizzatori degli anni Novanta hanno regalato la possibilità di diventare la prima economia del pianeta, aumentando a dismisura il suo peso geopolitico sul globo. Aver trasformato la Cina nella fabbrica del mondo, oltre ad aver posto fuori mercato le produzioni occidentali e aver impoverito di colpo il nostro ceto medio e i nostri lavoratori, a causa dello svantaggio competitivo derivante dalle basse retribuzioni cinesi e dalla mancanza di garanzie sociali e vincoli ambientali, ha reso il sistema economico occidentale dipendente da quel colosso tirannico. Che coltiva disegni imperialistici e non vuol saperne né di libertà di informazione, né di diritti politici e sociali, né di rispetto dell' ambiente, ma che - come mostra il coronavirus - è poi un gigante dai piedi d' argilla. Qualcuno - con la globalizzazione - aveva puntato a conseguire guadagni stellari separando liberismo e mercato dalla liberaldemocrazia e scommettendo sulla Cina (fino a ignorare tuttora i rischi per la sicurezza rappresentati dal 5G) e sulle delocalizzazioni. SISTEMA FRAGILE Oggi la retorica del mondo senza frontiere, del mercato-mondo e il fanatismo della globalizzazione - che avrebbe dovuto dissolversi già con la micidiale crisi del 2007-2008 - subisce un colpo, anche d' immagine. Le grandi società occidentali che chiudono i battenti nelle città cinesi, la chiusura degli aeroporti, il blocco delle due navi, con migliaia di passeggeri, in Oriente, mentre tutto il mondo spera che il contagio non arrivi in Africa - dove si trovano milioni di lavoratori cinesi e dove l' epidemia diventerebbe incontrollabile - mostrano la fragilità del sistema globale. Anche il gruppo Fiat Chrysler ha annunciato che a seguito della chiusura di 4 impianti di componentistica in Cina, verrà chiuso pure un impianto in Europa. Non è stato lungimirante, scrive Giuseppina Perlasca su Scenari economici, spostare «la produzione di componenti auto europee a decine di migliaia di chilometri di distanza, per poi scoprire che questa catena logistica è incredibilmente fragile e basta una semplice influenza per farla saltare». Questa crisi - prosegue - insegna che «aver voluto disperdere e polverizzare a livello mondiale ogni produzione industriale è stato un clamoroso errore, perché ha creato una folle interdipendenza facilmente cancellabile dal minimo imprevisto». Il mercatismo - ultima utopia del Novecento - ha l' esito fallimentare di tutte le ideologie. di Antonio Socci

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