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Vladimir Putin e il sospetto sul "nemico perfetto" Navalny. Annalisa Chirico: "Che cosa non torna"

di Annalisa Chirico venerdì 15 gennaio 2021

3' di lettura

Sulla vicenda di Aleksej Navalny qualcosa non torna. Il dissidente russo, che si trova in Germania dopo un tentativo di avvelenamento, subìto in Siberia, con un agente chimico della famiglia del Novichok, ha annunciato che domenica tornerà a Mosca. “Il 17 gennaio – ha scritto il blogger - torno a casa con il volo della compagnia Pobeda, venite a prendermi”. Nulla impedirà a colui che si dipinge come il nemico numero uno di Vladimir Putin di tornare a casa, sebbene negli ultimi mesi, di stanza a Berlino, Navalny abbia chiesto all’Occidente nuove sanzioni contro la Russia e abbia fabbricato prove per le sue indagini “indipendenti”.

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Il presidente russo però non sembra esattamente impaurito dalle gesta di questo manifestante permanente. Nella frase riservata a lui durante la tradizionale conferenza stampa di fine anno, lo scorso dicembre, il presidente russo, negando il coinvolgimento dei servizi russi nell’avvelenamento, ha distillato una, per quanto macabra, verità: “Se avessimo voluto, il lavoro sarebbe stato completato”. Insomma, se l’obiettivo è l’eliminazione di un “nemico”, l’obiettivo viene raggiunto. Da anni invece Navalny è la voce più squillante dell’opposizione anti Putin, manifesta e protesta davanti al mondo intero, con una eco e una forza che smentiscono l’immagine di una Russia intollerante verso il dissenso. Il mestiere del dissidente Mr. Navalny lo conduce con relativa disinvoltura, e forse con profitto, chissà. Secondo Putin, Navalny sarebbe un agente dello spionaggio americano, e nel gioco delle spie nessuna ipotesi è esclusa. Come diceva un liberale francese di nome Friedrich Bastiat, c’è quel che si vede e quel che non si vede. Non tutto è come appare, e nella storia del “dissidente martire”, che a Mosca rischia di finire dietro le sbarre per aver violato i termini della sospensione condizionale della pena concessagli per un condanna a tre anni e mezzo della fine del 2014, diverse cose non tornano. Sempre in Russia il blogger è stato recentemente accusato dagli investigatori russi di aver speso per fini personali circa 3,9 milioni di euro delle donazioni destinate al suo Fondo investigativo. Lui si è schermito spiegando di vivere con la propria famiglia in un appartamento in affitto e di possedere un’auto del 2012. Nel gioco delle parti, la verità sfugge e l’impostura incombe. Quel che è certo è che il ritorno di Navalny non sembra disturbare il sonno del presidente Putin, impegnato piuttosto nella campagna di vaccinazione e nella costruzione di nuovi equilibri con l’amministrazione Biden. Nell’inner circle putiniano prevale l’idea che la fiducia dei cittadini russi nel dissidente “venduto” all’Occidente sia in calo, anzi Navalny rischia di diventare, più o meno consapevolmente, il “nemico” perfetto per la perpetuazione del sistema di potere russo. Chi sosterrebbe mai un traditore di fatto, anzi un Vlasovita? L’espressione, nota negli ambienti militari russi, richiama alla memoria il generale sovietico dell'Armata rossa, Andrej Andreevič Vlasov, che nel 1942, nel pieno della Seconda guerra mondiale, passò a collaborare con la Germania nazista prendendo il comando della cosiddetta Armata russa di liberazione. L’epilogo fu funesto: Vlasov e undici alti ufficiali si arresero agli Alleati occidentali ma né gli americani né i britannici avevano interesse ad accogliere richieste di asilo che avrebbero compromesso il rapporto con un potente alleato come l'Unione sovietica: riportati a Mosca, i militari furono processati per alto tradimento e impiccati il 2 agosto 1946. Vlasov aveva solo quarantacinque anni.

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