La voce del Cremlino

Dmitry Peskov, "ogni volta che parla poi...". Inquietante coincidenza: svelato il piano segreto di Putin

Tommaso Lorenzini

Il 9 maggio si avvicina a grandi passi e c'è poco da star sereni. Non per fare le Cassandre a tutti i costi, eppure, dichiarazioni di Dmytry Peskov alla mano, qualche timore che Vladimir Putin possa riservarci in quella data un ulteriore scherzetto va messo in conto, visto che da molti è considerata dirimente per il prossimo futuro, addirittura qualcuno ha ipotizzato quel giorno come fine della guerra in Ucraina.

 

 

 

Dunque perché "tocchiamo ferro"? Perché ogni volta che Peskov parla accade il contrario. E non poiché sia un gufo o un bugiardo patologico, quanto perché è "strategicamente autorizzato" a farlo dal ruolo che riveste. Peskov, portavoce del Cremlino, baffo sovietico, sguardo e modo serafico di proporsi altrettanto, spiega infatti quasi divertito che «il 9 maggio Putin non dichiarerà nessuna guerra, né al mondo né a Kiev. È falso, non ha alcun senso», esclama riferendosi ai dubbi di molti osservatori occidentali che ritengono come lo zar possa sfruttare l'eco mediatica ed emotiva del prossimo lunedì per spiegare alla nazione che ha in mente qualcosa di ancora più grosso dell'Operazione Speciale di denazificazione. C'è chi parla di formale "dichiarazione di guerra" a Zelensky, chi di un rilancio concreto della minaccia nucleare, che annunciata quel dì assumerebbe connotati sinistri e storicamente pesanti. La data lo garantisce. Il 9 maggio è in Russia il "Giorno della Vittoria" sui nazisti nel 1945. È celebrato da una parata militare a Mosca, colossale, roboante, esagerata: roba ai limiti dell'obsoleto, consuetudine che resiste infatti in tali dimensioni e afflato più che altro in Russia, Cina, NordCorea. Tradizionalmente, i leader del Cremlino si sistemano sulla tomba di Lenin nella Piazza Rossa per osservare la sfilata di truppe, armamenti, mezzi terrestri e aerei, per godersi la dimostrazione muscolare e lanciare messaggi di forza via etere.

 

 

 

Ebbene, secondo Peskov quel giorno non succederà nulla di accessorio ai festeggiamenti. Eppure, si tratta di quello stesso Peskov che il 16 febbraio scorso annunciava: «Abbiamo sempre detto che le truppe torneranno alle loro basi dopo che le esercitazioni saranno terminate. Questo è accaduto anche questa volta», riferendosi agli spostamenti di soldati e mezzi schierati lungo i confini con l'Ucraina. Il successivo 20 febbraio, Peskov rilanciava: «La Russia non ha mai attaccato nessuno nella sua storia (Ungheria, 1956; Cecoslovacchia, 1968; Afghanistan, 1979: loro non sarebbero d'accordo, ndr) ed è l'ultimo Paese che vorrebbe usare la parola guerra. Vi esortiamo a porvi la domanda: che senso ha che la Russia attacchi qualcuno?». Ecco. Cos'è successo il 24 febbraio? L'invasione militare della Russia in Ucraina. Caro Peskov, se permette, non sempre le crediamo...