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Ucraina, i vecchi "cassoni" possono fare la differenza in un conflitto aperto

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 Marco Petrelli
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Da oltre quattro mesi la Guerra in Ucraina monopolizza le nostre vite, forse ancor più dei quanto accaduto col Covid. Siamo travolti da un'onda anomala di informazioni, sovente discordanti, discordanti che vorrebbero l’esercito russo incapace di fronteggiare la resistenza ucraina, la Russia sull’orlo del default e Zelensky come novello Winston Churchill contro la barbarie nazista. I russi, in vero, non stanno perdendo la guerra. Anzi, hanno ottenuto parte di quegli obiettivi posta all’inizio dell’attacco. 

Il Donbass, prima di tutto. Già, le regioni carbonifere dell’oriente ucraino a maggioranza russa e il controllo del Mar Nero nord orientale. Punta di diamante di Putin non le legioni estere, né sistemi d’arma altamente sofisticati. Ma i “cassoni”, quei vecchi aeromobili, tank e trasporto truppe che hanno già combattuto in Afghanistan negli Anni ’80, in Cecenia, in  Ossezia del sud e in Siria, dunque ampiamente testati sul campo dai vertici del Вооружённые силы Российской Федерации (Forze Armate della Federazione Russa) ed insostituibili in una campagna combattuta sempre più nei centri abitati (o nei loro pressi).

Vero, la tecnologia bellica si è così evoluta negli ultimi 30 anni che a noi Occidentali mezzi quali il Sukhoi-27, il Mil Mi 24 o le varie versioni dei blindati trasporto truppa BRT sembrano dinosauri, facilmente neutralizzabili dai sofisticati sistemi d’arma di cui la NATO oggi dispone.

Eppure, la maggior parte delle missioni di peacekeeping condotte dal 1991 al 2020, hanno avuto quali principali avversari milizie irregolari, impegnate in conflitti asimmetrici dove, più della tecnologia, a far da padrone sono state (e sono) l’intelligence e la capacità di infiltrazione ed esfiltrazione. In altre parole, tenere sotto controllo il nemico, infiltrarsi fra le sue file e colpirlo con qualunque strumento, come i temibili IED (Improvised Explosive Devices), ordigni rudimentali capaci, tuttavia, di infliggere dure perdite. 

Le strumentazioni i-tech si sono certamente palesate utili nel contenere insidie quali quelle sopracitate, ma contro milizie con armamento leggero il ricorso al fante e ai mezzi d’appoggio più rudi risulta ancor oggi fondamentale.

Concetto che i russi hanno còlto bene in Siria. Fra il 2014 ed il 2015 hanno perso circa 26 aeromobili: Mil Mi 24, Su 24, Mil Mi 35, Mi 8, MiG 29 , Antonov An26 ed UAV Orlan 10, velivoli senza pilota per guerra elettronica, ricognizione tattica e SAR.  Perdite senza alcun dubbio elevate ma, vale la pena ricordarlo, che hanno coinvolto mezzi ereditati dall’Armata rossa, con tecnologia degli Anni ’70 ed '80 e con spese di manutenzione e/o di aggiornamento decisamente ridotte rispetto agli equipaggiamenti degli eserciti occidentali. 

Tolto il Forpost perso nel 2021 a Kafar Halab (drone russo dal costo esorbitante, circa 7 milioni di dollari), gli Orlan 10 da ricognizione hanno un valore singolo compreso fra i 50 ed i 150 mila dollari, contro gli oltre 600 mila cadauno dell'UAV da ricognizione RQ-7 Shadow, made in USA.  Naturalmente, sarebbe infantile e superfluo pensare che aerei, elicotteri ed UAV persi in Siria non incidano sul bilancio delle Вооружённые силы Российской Федерации; è presumibile, però, che l’impiego di mezzi più datati sia un modo per sfoltire un parco veicoli ancora fortemente made in Urss, concentrando così le risorse su progetti più moderni e decisivi in una eventuale, seconda fase del conflitto... in Siria ed in Ucraina. 

Ad oggi, nell'esercito russo (Вооружённые силы Российской Федерации) sarebbero infatti circa 7000 i vecchi carri armati T72  ed altri 7000 i veicoli blindati BRT 90 e BRT 82A ( veterani della campagna d’Afghanistan) in servizio.  Vecchi ma buoni, specie se il nemico è il guerrigliero del Daesh o il combattente della “legione ucraina”, entrambi equipaggiati con armi leggere e probabilmente privi di strumentazioni all’avanguardia. 

D’altronde, le guerre non si combattono solo con la tecnologia. Gli Stati Uniti furono piegati, in Vietnam, da regolari nordvietnamiti e da combattenti vietcong che riuscirono ad infliggere pesantissime perdite fra i G.I., pur non disponendo di B52 ed elicotteri AH-1 Cobra. 

Nella remota (ma davvero remota!) ipotesi in cui il conflitto ucraino dovesse estendersi, sarebbe quindi cosa buona che gli alleati NATO europei recuperassero i “cassoni”,  sistemi d’arma obsoleti in una guerra tecnologica ma necessari in uno scontro campale: carri Leopard A1, veicoli cingolati M113, elicotteri Huey e versioni aggiornate, etc. Insomma, quel surplus della Guerra fredda che mai avremmo pensato potesse tornare utile negli Anni Venti del XXI Secolo. 

E magari, anche, rivedere le politiche di organico. La Federazione Russa ha più di 145 milioni di abitanti, vale a dire una popolazione pari a quella di Svezia, Finlandia, Italia, Romania, Polonia ed Ungheria messe insieme. Ritenere che l’esercito russo abbia difficoltà ad arruolare nuove leve nel caso di una estensione della guerra, è dunque fuori luogo ed anti storico. L’Unione Sovietica ha infatti vinto la Seconda Guerra Mondiale con 20 milioni di morti militari e 10 milioni di vittime civili; il territorio era ed è talmente esteso che centri di comando, unità e poli produttivi possono essere dislocati a migliaia di chilometri dalla linea del fronte. 

Inoltre le sanzioni imposte dall’Occidente e la russo-fobia alimentata, in questi ultimi mesi, da Kiev e da Washington hanno compattato un popolo già animato da forte nazionalismo che, ora più che mai, non cederà alle richieste occidentali, specie di fronte ad una Unione Europea piombata nel mezzo di una grave crisi energetica, che ne arrischia la stabilità economica… e non solo la stabilità economica!

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