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Maria Zakharova, tutte le contraddizioni della figlia del comunismo

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È difficile inquadrare Maria Vladimirovna Zakharova, appena credi di aver trovato la chiave esplicativa ti imbatti in un virgolettato, una notizia, un aneddoto che la ribalta. Perché sì, la verità è che a Maria Zakharova, un cursus honorum infinito negli apparati moscoviti prima di diventare la portavoce del ministro degli Esteri Lavrov, piacerebbe da matti apparire come la Russia secondo Churchill: «Un indovinello avvolto in un mistero che sta dentro un enigma».

Purtroppo per lei, è una Russia al tempo della rivoluzione digitale, dell’agorà social, dove le vite di tutti sono anche vetrina permanente, e la sua non fa eccezione. Non solo: a lei piace, la vetrina, le piace maledettamente, e allora può accadere che l’ultima addetta alla propaganda dell’Impero (zarista, sovietico o putiniano sono dettagli) possa essere anche una sfornatrice compulsiva di pseudoarguzie virtuali, meme, post spesso autoreferenziali. La confezionatrice del messaggio ama diventare il messaggio, in un gioco di specchi aggrovigliato e compiaciuto: è lo squilibrio, nel senso tecnico di assenza di equilibrio, la cifra di Maria Zakharova, per cui tanto vale limitarsi a raccontarla.

Maria Zakharova nasce a Mosca il 24 dicembre 1975, figlia di agiati diplomatici, la nomenclatura ce l’ha nel sangue. All’età di sei anni si sposta a Pechino, perché il padre viene chiamato in servizio dall’ambasciata sovietica. Torna in patria solo nel 1993, nel 1998 si laurea in Sinologia presso l’Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali. Questo legame consolidato col Dragone è il primo elemento che balza all’occhio dalla sua biografia: pare la personificazione dell’attuale postura geopolitica della Russia, saldata a un’alleanza “asiatista” con la Cina (o a un vassallaggio, suggeriscono i rapporti di forza economici, ma non ditelo mai a Maria, o vi farà sbattere fuori dalla sala stampa, ambiente in cui troneggia come una valchiria) in marcata chiave anti-occidentale, e ovviamente anti-americana. «La Nato è l’asse del Male», ha detto quest’estate in un’intervista all’Ansa, rispedendo Oltreoceano un’immagine coniata da George W. Bush.

LE NOZZE AMERICANE
Maria è colta e sardonica allo stesso tempo, ama le provocazioni palesemente sproporzionate con citazione implicita, come quando definì Zelensky «il figlio di puttana dell’Occidente» (qui il riferimento era alla definizione attribuita a Roosevelt del dittatore nicaraguese Somoza, visto come argine al comunismo). Come al solito, c’è anche un’altra Maria però, è quella che nel 2005 ha scelto come luogo del suo matrimonio con più di una sfumatura kitsch... New York, la capitale simbolica dell’Occidente infetto. Qualcuno che dentro quell’eterna guerra per bande in cui si traduce l’establishment russo non deve stare esattamente dalla sua parte ha rimesso in circolo nel luglio 2022 le fotografie che immortalarono l’evento. Si vedono lei, succinto abito di satin bianco con ricami neri, e il marito Andrei Makarov avvinghiati in una serie di effusioni poco platoniche.

Sulla tradizionale trafila ha innestato questa sua vocazione pop, la volontà di apparire in vetrina, di non limitarsi ad allestirla. Esiste proprio un repertorio-Zakharova, in questo senso: uno dei cavalli di battaglia è il ballo sulle note della Kalinka, canzone popolare russa ottocentesca, sfoggiato ad esempio nel maggio 2016 al summit Russia-Asean (Associazione delle Nazioni del sud-est asiatico) tenuto a Sochi, con tanto di video diventato virale sui social. Tutta manna per il mito della portavoce-star, che ti ribalta l’ovvio con la naturalezza di una piroetta riuscita, per cui gli aggressori sono sempre gli Stati Uniti (anche quando non ci sono stivali yankee sul terreno) e (sì, è riuscita a dirlo) «Orwell in 1984 non parlava del totalitarismo, non parlava dell’Urss, parlava del liberalismo». È una funambola del significato, che incanta molti, non tutti. Non ha incantato ad esempio il governo del Regno Unito, che a fine settembre l’ha inclusa tra i funzionari russi di alto livello sanzionati per le “elezioni-farsa” nei territori ucraini annessi (pardon, strappati con un’aggressione militare, la neolingua zakharoviana è così suadente che a volte s’insinua involontariamente anche qui). Ma Maria la volterà ancora una volta in suo favore, rivendicando su Telegram la persecuzione dell’imperialismo britannico. Poi un giro di Kalinka, magari a favore di telecamera, mentre l’imperialismo russo massacra qualche altro civile.

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